Il 20 e 21 settembre saremo chiamati come cittadini a esprimere la nostra opinione sul referendum costituzionale che riduce sensibilmente l’attuale numero dei parlamentari.
Gli argomenti logici e giuridici che mi spingono con convinzione non solo a votare NO, ma anche a impegnarmi affinché altri votino NO, sono molti e sono stati spiegati in modo mirabile nel manifesto dei costituzionalisti italiani, negli interventi della Fondazione Einaudi e nelle innumerevoli riflessioni dei parlamentari appartenenti ai pochi partiti impegnati per il NO e degli intellettuali indipendenti, parlamentari e non, che hanno scelto di non aderire, su un tema così sensibile , alle indicazioni del proprio partito.
C’è anche un importante argomento territoriale, ben illustrato dal “Gruppo dei Giuristi siciliani per il NO”, relativo alla penalizzazione della rappresentanza parlamentare dell’intero sud in generale e delle piccole città, come la mia Siracusa, in particolare.
Ma c’è anche, sullo sfondo del referendum, un formidabile argomento politico, molto distante dalle vulgate che percorrono media e social network: il NO dei cittadini alla riforma voluta dai partiti è la condanna più vera e più netta dell’attuale basso profilo della politica.
Sconfiggere il qualunquismo antipolitico attraverso il voto, l’arma più nobile in mano al cittadino, è, quindi, la possibile rivoluzione gentile che tanti sperano.
Tale conclusione, che può apparire ardita, ha una spiegazione assai semplice.
Al taglio lineare della rappresentanza parlamentare, elaborato e fortemente voluto come elemento caratterizzante della propria azione politica dal Movimento 5 Stelle, hanno aderito, e lo hanno anche nel tempo votato, tutti i maggiori partiti politici tradizionali, dalla Lega a Fratelli d’Italia, da Forza Italia al Partito Democratico.
Non è certamente un caso: all’indomani della riduzione del numero dei parlamentari a comandare saranno sempre e maggiormente le segreterie dei partiti.
Già questa inusuale compattezza tra acerrimi nemici/amici dovrebbe insospettirci, anche se è vero che, fuori dalle cabine di comando, molti parlamentari non sono, giustamente, affatto convinti della scelta dei loro capi.
Ma, soprattutto, i partiti che sostengono oggi il SI alla riforma, quando non sacrificano banalmente le proprie idee all’esigenza di poltrone ministeriali, sono profondamente convinti che così facendo appaiono alfieri dell’antipolitica, l’unica arma elettorale che ritengono vincente.
Tralasciando la semplice constatazione che si tratta di gente seduta, oggi o sino a ieri, sulla comoda poltrona di ministro che continua incredibilmente a mandare messaggi di odio e disistima dei politici, cioè di sé stessi, pensando così di distinguersi dagli altri (ma verrebbe da chiedersi “altri chi ?” se oggi si trovano tutti dalla stessa parte), essi non sembrano avvertire la capacità offensiva verso l’elettorato di questo inseguimento ad ogni costo del qualunquismo.
Essi si rivolgono alla pancia dei cittadini, sul presupposto che gli stessi non abbiano un cervello.
Il risparmio di un caffè al giorno o il “se non passa il referendum le cose non cambieranno mai” sono messaggi che certamente arrivano, ma si fermano alla pancia, il cervello non lo raggiungono.
Se oggi potessimo avere di nuovo nelle istituzioni persone del livello morale e culturale di coloro che hanno scritto la Costituzione saremmo ben lieti di pagarli anche il doppio rispetto a quanto percepito dagli attuali parlamentari mentre guardiamo con timore alla diffusa e sgradita incompetenza e all’enfatizzato e fastidioso qualunquismo di chi pretende di intervenire, per ragioni di convenienza elettorale o di conservazione della poltrona di governo, sui delicati meccanismi di democrazia e di rappresentanza scritti nella nostra Costituzione con fatica, passione e competenza da tante persone esperte, culturalmente attrezzate e moralmente ineccepibili, il cui solo nome dovrebbe generare immediata deferenza.
I partiti politici hanno proposto e votato questa riforma, emblema del qualunquismo, e rincorrono, contendendoselo, il consenso di tutte le pance alle quali si sono rivolte.
Io spero che nelle urne si trovi invece il voto di chi per ragionare abitualmente usa il cervello perché quel voto avrà un unico significato: un avviso di sfratto all’incompetenza e al qualunquismo del quale i partiti politici oggi sono collettivamente portatori (non asintomatici) e fruitori.
A tutti coloro che ritengono di ottenere voti parlando alla pancia dell’elettorato, un elettore che usa il cervello, di qualunque parte politica, dovrebbe risponde con chiarezza e nettezza: “NO, ti sbagli. Tu vedi solo elettori dotati di pancia e pensi di essere furbo parlando a quelle pance per mantenere il tuo potere. Ma, al contrario, sei proprio tu che ragioni con la pancia mentre io uso il cervello e il tuo messaggio non solo non mi arriva ma mi infastidisce, quando addirittura non mi offende”.
Non abbiamo nessun motivo e nessun bisogno di abolire o mortificare le istituzioni per punire chi oggi le occupa, né di ridurre gli spazi di libertà e di rappresentanza.
Non esiste oggi il problema della quantità dei parlamentari, ma quello della loro qualità.
La logica ci insegna che 600 asini non faranno certo meglio di 945 asini. Il problema non è il numero dei parlamentari ma è la loro scadente qualità culturale e, a volte, morale. E c’è anzi il rischio, concreto, che ad essere eliminati saranno proprio i 345 meno asini e meno pronti a obbedire sempre ai propri capi.
Il NO al referendum può diventare, quindi, anche il No al qualunquismo. Il NO alla proposta di riforma della Costituzione è un NO al modo in cui oggi i partiti intendono la politica, un NO alla loro corsa a soffocare il ragionamento per stimolare il risentimento, un NO che faccia loro comprendere che devono tornare a parlare al nostro cervello e non alla nostra pancia, a coinvolgerci nelle scelte, a trattarci da cittadini e non da sudditi o, peggio, da greggi da condurre al (loro) pascolo.
Il NO è rivoluzionario, nel senso che pretende il cambiamento; il SI è reazionario, si accontenta di conservare e consolidare l’esistente.
E di una rivoluzione, gentile e non violenta, abbiamo proprio bisogno.