Il diabete mellito di tipo 2 è una delle malattie croniche più diffuse al mondo. Secondo l’International Diabetes Federation, oltre 500 milioni di persone convivono con la patologia, e in Italia interessa circa il 6% della popolazione. In Sicilia i casi sono stimati in circa 340 mila persone, con una prevalenza che negli over 65 arriva a uno su quattro. La gestione della malattia incide pesantemente anche sui costi: si calcola che il diabete assorba circa il 10% della spesa sanitaria regionale.
Il diabete non controllato può causare complicanze gravi. Le più comuni riguardano il cuore e il sistema circolatorio, con un rischio fino a quattro volte maggiore di sviluppare infarto o ictus. Altre complicanze frequenti sono la retinopatia diabetica, che può condurre alla cecità, la nefropatia fino all’insufficienza renale terminale, la neuropatia con dolore cronico e perdita di sensibilità e, nei casi più avanzati, le amputazioni agli arti inferiori. Il diabete aumenta anche la probabilità di demenza e peggiora il decorso di molte altre malattie croniche, perché spesso si accompagna a ipertensione, obesità e dislipidemie.
“Negli ultimi anni si è aperta una prospettiva che fino a poco tempo fa sembrava impensabile: la remissione del diabete”, afferma il professore Salvatore Corrao, direttore dell’Unità di Medicina Interna dell’ARNAS Civico di Palermo e docente UniPa.
“Bisogna distinguere bene il diabete di tipo 1 da quello di tipo 2 – spiega –. Nel tipo 1 c’è una distruzione delle cellule che producono insulina e la remissione oggi è un obiettivo ancora lontano, anche se nuove terapie riescono a rallentare l’evoluzione. È nel diabete di tipo 2 che possiamo parlare davvero di remissione. Secondo la definizione internazionale, la remissione avviene quando l’emoglobina glicata scende sotto il 6,5% e il paziente sospende i farmaci per almeno tre mesi. Nonostante sia un traguardo impegnativo, la ricerca e la pratica clinica dimostrano che è possibile“.
“Abbiamo a disposizione terapie innovative che hanno cambiato radicalmente la prognosi – prosegue -. Gli analoghi del GLP-1, come la semaglutide, hanno dimostrato non solo di abbassare la glicemia ma anche di favorire il calo di peso, un elemento fondamentale per il controllo della malattia. La tirzepatide, che agisce anche su un altro ormone intestinale, si sta rivelando estremamente promettente. A questi si aggiungono le gliflozine, farmaci che agiscono a livello renale e riducono la glicemia eliminando il glucosio con le urine”.
Questi farmaci non si limitano a “tenere a bada” la glicemia. Hanno dimostrato di ridurre il rischio di infarto e ictus, di proteggere i reni e di migliorare il profilo metabolico complessivo. In pratica, non solo correggono un valore di laboratorio, ma proteggono cuore, reni e vasi sanguigni.
“Nella nostra pratica clinica vediamo pazienti che riescono a riportare l’emoglobina glicata sotto la soglia diagnostica – sottolinea Corrao -. Questo significa che, se associamo terapie moderne a uno stile di vita adeguato e a una diagnosi precoce, possiamo puntare alla remissione. Il diabete non è mai un problema isolato. È una patologia che coinvolge tutto l’organismo. Per questo il concetto di remissione è così importante. Significa non solo avere valori glicemici nella norma, ma proteggere l’intero corpo dalle complicanze più gravi. È un cambio di paradigma che ci permette di guardare ai pazienti con occhi diversi. Non più come persone destinate a convivere per forza con una malattia progressiva, ma come individui che possono aspirare a una vita senza diabete”.
“Se nel tipo 2 la remissione è ormai una realtà possibile, per il diabete di tipo 1 la ricerca sta esplorando strade nuove. Il farmaco teplizumab, anticorpo monoclonale che agisce sul sistema immunitario, è già stato approvato negli Stati Uniti per ritardare l’esordio della malattia in soggetti ad alto rischio. Parallelamente, il trapianto di cellule delle isole pancreatiche sta mostrando risultati promettenti, con alcuni pazienti che riescono a vivere per anni senza bisogno di insulina. Si tratta di approcci ancora sperimentali e non privi di criticità, ma rappresentano segnali concreti che la scienza non si limita più a rallentare la malattia: prova a invertire il corso della storia naturale del diabete”, conclude.