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Ripristino elezione diretta

Riforma Province, l’Ars tira dritto ma rischia di fare i conti senza l’oste

mercoledì 3 Gennaio 2024

L’ultimo via libera è arrivato dalla Commissione Affari Istituzionali a dicembre inoltrato (QUI). L’obiettivo è il passaggio definitivo all’Ars dopo la Finanziaria entro il mese di gennaio (QUI). Sul ripristino delle elezioni dirette nelle ex Province e Città Metropolitana però la Sicilia rischia di fare i conti senza l’oste.

C’è chi ipotizza il voto già nel turno di fine primavera 2024 e il ddl approvato prevede anche una copertura finanziaria di oltre 10 milioni di euro (per elezioni e costi gestionali e di indennità degli organi istituzionali).

DELRIO RIFORMA MONCA

L’idea di riparare le conseguenze negative della riforma Delrio del 2014 che ha fallito parte degli obiettivi ed ha quasi azzerato il ruolo delle ex Province, è lodevole ed è al centro di buoni propositi a livello di iniziative parlamentari ma può rivelarsi un boomerang a pochi mesi dalle Europee. La riforma Delrio, seppure rimasta “a metà” del disegno complessivo dopo la bocciatura del referendum costituzionale del 4 dicembre 2016  è in vigore ed è valida su tutto il territorio nazionale, Regioni a Statuto speciale comprese.

RISCHIO IMPUGNATIVA

Il ddl siciliano può essere preso ad esempio dal governo nazionale ma non può diventare realtà fin quando non viene abrogata la 56 del 2014. Il rischio di un’impugnativa della norma siciliana, come già avvenuto nel 2017, è altissimo ed anche qualora si possano avere rassicurazioni  a livello nazionale, tecnicamente fino a quando non viene abrogata la riforma la Sicilia non può andare in solitaria. Già dall’estate del 2023 si ventilava l’ipotesi che la maggioranza di governo nazionale volesse procedere per la riforma di una legge rimasta a “metà” con la bocciatura del referendum Costituzionale 2016 che disegnava complessivamente con elezioni di secondo grado anche il Senato. Ma la riforma della legge Delrio finora è rimasta nel limbo e in dichiarazioni sempre più rare. Rispolverarla a pochi mesi dalle Europee rischia di dare ossigeno a quanti, come i 5stelle, sui costi della politica hanno vinto campagne elettorali.

Senza l’oste, senza cioè un intervento espresso che porti all’abrogazione della Delrio, non si possono fare i conti. Un’eventuale impugnativa del governo Meloni peraltro finirebbe a ridosso delle urne e non avrebbe ricadute d’immagine positive. A meno che  non ci siano rassicurazioni talmente solide da lasciar fare alla Sicilia da apripista.

10 ANNI DOPO

E’ vero che negli ultimi 10 anni le ex Province sono rimaste ad agonizzare, sono state depotenziate (anche sotto il profilo del personale)  e con risorse al lumicino. E’ vero che l’ente intermedio è fondamentale ed è valorizzato dalla stessa Costituzione, così come è vero che i costi della politica incidevano pochissimo e la rappresentanza dei territori è un pilastro della democrazia. E’ altrettanto vero che la riforma Delrio è rimasta “monca” perché doveva integrarsi con la riforma voluta dal governo Renzi (e bocciata dal Referendum) e con una riforma del sistema elettorale sempre annunciata e mai abbozzata. Ma per quanto “illuminato” possa essere il ddl all’esame dell’Ars incontrerà sempre quella porta chiusa.

COSA PREVEDE LA LEGGE

L’ art. 1 della legge 56/2014 comma 5 e comma 145 prevede che le Regioni a Statuto Speciale Sardegna, Sicilia e Friuli Venezia Giulia sono tenute ad adeguare i propri ordinamenti interni alla Delrio poiché i principi della legge valgono come principi di grande riforma economica e sociale. In Trentino Alto Adige ed in Valle d’Aosta la riforma si applica compatibilmente con gli Statuti.

LA SICILIA NON PUO’ DEROGARE

Non a caso la Corte Costituzionale con la sentenza 168/2018 in merito al ddl della Regione Siciliana del 2017 che prevedeva l’elezione diretta degli organi rappresentativi di Liberi Consorzi e Città Metropolitane ne dichiarò l’incostituzionalità perché in contrasto con norme fondamentali delle riforme economico sociali che in base all’art. 14 dello Statuto della Regione costituiscono limite alle competenze legislative di tipo esclusivo. La norma, val la pena ricordarlo, era stata impugnata dal governo nazionale. In sintesi la Regione Siciliana non può derogare alla Delrio.

LA CONSULTA SUL VULNUS

Dal 2015 ad oggi però si sono registrate  novità. Con la sentenza n 240 del 2021 la Corte Costituzionale è intervenuta sul “vulnus” del sindaco metropolitano previsto dalla Delrio che, a differenza del presidente della provincia non è eletto con elezione di secondo grado ma è, in modo automatico, il sindaco del comune capoluogo. Questa disparità secondo la Consulta non è in sintonia con la Costituzione riguardo l’eguaglianza del voto che riflette l’eguale dignità di tutti i cittadini nell’eleggere chi ricopre cariche pubbliche rappresentative. In questo caso quindi i cittadini del comune capoluogo eleggerebbero direttamente il sindaco metropolitano cosa che è preclusa ai cittadini degli altri comuni che compongono la Città Metropolitana. “Ogni differenziato trattamento fra enti che l’art. 114 Cost. colloca, con pari dignità costituzionale, fra quelli costitutivi della Repubblica, diventa irragionevole e contrario al principio di eguaglianza e richiede anzi con urgenza un riassetto degli organi delle Città metropolitane”

PALLA AL LEGISLATORE

E’ vero che la Delrio prevede l’opzione, dal secondo mandato in poi, di un’elezione diretta ma al momento, evidenziano i giudici costituzionali, non ci sono proposte in tal senso, non è stata fatta la riforma elettorale ed è stata bocciata con il Referendum del 2016 anche la riforma costituzionale collegata alla Delrio. Insomma, la legge è monca e la Corte Costituzionale ha volto un monito al legislatore.

“rientra nella  discrezionalità  del  legislatore  il  compito  di  predisporre  le  soluzioni normative  in  grado  di  porre  rimedio  al  vulnus  evidenziato,  che  rischia  di  compromettere  per  la  mancata rappresentatività dell’organo di vertice della Città metropolitana, tanto l’uguale godimento del diritto di voto  dei  cittadini  destinatari  dell’esercizio  del  potere  di  indirizzo  politico amministrativo  dell’ente,  quanto  la necessaria responsabilità politica dei suoi organi”

Le premesse per una riforma e/o abrogazione della Delrio ci sono tutte, ma ad “aprire le danze” deve essere il governo Meloni e il Parlamento.

 

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