“Il profumo dello iodio, il sapore dolce e ferroso del sangue, una stradina di campagna dove dei bambini vanno a catturare lucertole con un filo d’erba”.
E’ con queste parole che il cantautore palermitano Alessio Bondì descrive la sua musica se dovesse associarla a un odore, un sapore e a un paesaggio.
Classe ’88, Bondì è un cantautore siciliano che fonde il suono esotico della lingua natìa, il dialetto palermitano, con ritmi anglo-american folk, funky e quelli della musica brasiliana e africana.
Alessio, tutti i tuoi testi sono in dialetto palermitano, come mai hai fatto questa scelta che esce dai canoni consueti?
“Il palermitano è la lingua magica che mi aiuta a scavare dentro di me, ad entrare in contatto con la mia parte irrazionale. Essendo una lingua non accademizzata, assorbita in maniera umorale e disordinata, si presta a diventare scandaglio del caos interiore. Uso il siciliano per lo stesso motivo per cui qualcun altro usa i tarocchi”.
Come nascono le tue canzoni? Quali sono le emozioni che ricerchi e che ti danno ispirazione?
“È difficile dire da dove vengano le parole, le melodie, le emozioni che si assemblano in una canzone nel momento in cui la si compone. Parte è dettata dalla razionalità e parte da un flusso magico che non si sa bene da dove venga. Io scrivo spesso in maniera irrazionale, irregolare, mi faccio portare da un animale che non so nemmeno quanto sia grande e a volte mi illudo di domarlo. La canzone forse è la rappresentazione di questa illusione”.
Il 3 settembre ti esibirai nella prima edizione di Opera Festival a Milo. Un festival che punta un’esperienza immersiva non solo musicale ma anche naturalistica. La tua performance sarà molto particolare, vuoi raccontarcela?
“Farò un concerto intimo, e asciutto, solo chitarra e voce in un posto incantevole, all’Ilice di Carinu, maestoso albero monumentale, e non vedo l’ora di essere lì. Sarà un posto totalmente immerso nella natura e siamo certi che è una location che piacerà moltissimo. Opera è un festival alla prima edizione che punta a valorizzare il paesaggio etneo e le esperienze da vivere sul territorio. Abbiamo la fortuna di vivere in una terra bellissima ed è bello condividere delle occasioni in cui gioire per questo. Nel mio nuovo album, “Maharìa” , ci sono molti suoni e molte ispirazioni che guardano alla magia della natura, ai suoi passaggi e ai suoi riti. Suonare questa musica sotto l’Etna, che in questi giorni è anche in attività, mi sembra davvero un momento eccitante. Al mio pubblico vorrei tramettere proprio la possibilità di sentirsi in armonia con il luogo in cui ci esibiremo”.
C’è un aneddoto nella tua vita di cantante che ti è particolarmente caro?
“La prima volta che mi emozionai cantando. Iniziavo a studiare da attore e frequentavo i corsi del professore Antonio Giordano. Stavamo provando un brano molto mesto di un suo spettacolo, e mentre cantavo scoppiai in lacrime senza sapere perché. Quella musica e quelle parole avevano toccato le mie corde in maniera profonda e imprevedibile”.
Quali autori ed interpreti hanno avuto un ruolo importante per la tua formazione musicale?
“Ce ne sono tantissimi. Da Caetano Veloso a Sam Cooke, da Modugno a Simon Diaz, Rosa Balistreri, Bob Dylan, Rufus Wainwright, Vinicio Capossela, Jeff Buckley, Paco De Lucia, Djavan”.
Quale delle tue canzoni ti descrive meglio e perché?
“Quella che non ho ancora scritto”.
Cosa speri che accada nei prossimi mesi e quali sono i tuoi programmi per il prossimo futuro?
“Spero che si possano svolgere concerti in sicurezza e che si possa continuare a lavorare. Abbiamo tutti bisogno di musica, della dimensione del rito, del sogno e della condivisione di emozioni”.