Il Decreto Ministeriale 77 rappresenta un punto di riferimento per la riorganizzazione dell’assistenza sanitaria territoriale. La paura è, però, che le Case di Comunità e agli Ospedali di Comunità rimangano “cattedrali nel deserto”. Difatti il provvedimento e i fondi Pnrr non fanno alcun cenno sulla copertura del personale necessario al funzionamento delle strutture previste.
Le Case di Comunità
Secondo il DM 77, una Casa di Comunità “grande” dovrebbe avere 30-35 medici di famiglia e pediatri. Dovrebbe inoltre contare su 7-11 infermieri e garantire un servizio attivo 24 ore su 24, sette giorni su sette, inclusa la continuità assistenziale. Ogni Casa di Comunità hub dovrebbe assistere circa 48.000 utenti, di cui almeno 12.000 over 65. Per questa fascia, è previsto un servizio domiciliare per almeno il 10%, pari a circa 1.200 assistiti.
Gli Ospedali di Comunità
Anche gli Ospedali di Comunità, previsti dal DM 77, dovrebbero operare per almeno 4/5 ore al giorno per sei giorni su sette. Tuttavia, il numero di personale ipotizzato appare insufficiente. Si parla di 7-9 infermieri, 4-6 OSS, 1 medico e 1-2 figure con funzioni riabilitative. La presenza di un solo medico sembra particolarmente inadeguata considerando che gli Ospedali di Comunità prevedono ricoveri e dovrebbero offrire un’assistenza più attenta rispetto alle Case di Comunità.
Le criticità per la Sicilia
Secondo Renato Costa, responsabile sanità della CGIL Sicilia, il DM 77 rischia di rimanere una “cornice vuota”.
“Le informazioni emerse dal Pnrr dell’epoca post-pandemica ci hanno fornito indicazioni chiare su ciò che è necessario fare per intervenire sul territorio e cercare di riorganizzare il Sistema Sanitario Nazionale e i sistemi sanitari regionali. Tuttavia, emergono alcune criticità, in particolare in Sicilia.Le principali carenze riguardano la progettazione delle strutture sanitarie territoriali, come gli ospedali di comunità, le case della salute, i PTA (Presidi Territoriali di Assistenza) e le COT (Centrali Operative Territoriali). Sebbene sia noto dove saranno collocate queste strutture, non è ancora chiaro come saranno organizzate, anche perché, ad oggi, non sembra esserci alcuna previsione per il personale necessario al loro funzionamento“, spiega Costa.
“Se queste strutture territoriali devono funzionare, è imprescindibile dotarle di personale adeguato, altrimenti si rischia di costruire cattedrali nel deserto. Il problema principale è che i vincoli di spesa ancora in vigore non permettono di superare determinati limiti per il pagamento degli stipendi e, di conseguenza, per l’assunzione di nuovo personale. Se le risorse economiche sono bloccate dai tetti di spesa, come sarà possibile garantire il funzionamento di questi servizi?” chiede.
“Sorge il sospetto che si voglia affidare la gestione di queste strutture a cooperative, in modo da far ricadere la spesa sulle voci di beni e servizi anziché sul personale. Tuttavia, questa scelta sarebbe deleteria per molte ragioni – evidenzia –. Il dovere di ogni operatore sanitario e di ogni dirigente aziendale è quello di garantire i percorsi assistenziali ai pazienti. Oggi, invece, in Sicilia, al di fuori del medico di base, non esiste un’effettiva rete di supporto territoriale, costringendo i cittadini a rivolgersi direttamente agli ospedali. Questo ha determinato il sovraccarico delle strutture ospedaliere, il congestionamento dei pronto soccorsi e una pressione insostenibile sui reparti e sul personale medico”.
Il modello assistenziale necessario
“La soluzione è chiara: è necessario strutturare un percorso assistenziale efficace sul territorio. Sia che si tratti di PTA, Case della Salute o Case di Comunità, è fondamentale la presenza di medici che possano prendersi cura del paziente dopo il filtro del medico di base, prescrivendo esami diagnostici ed effettuando una prima valutazione – sottolinea –. Questi esami devono essere eseguiti sul territorio, e lo stesso medico che li ha richiesti deve poter valutare se il paziente necessita di ulteriori approfondimenti. Solo così si può stabilire se il paziente può essere seguito a livello ambulatoriale oppure necessita di ricovero ospedaliero. Solo attraverso questa organizzazione sarà possibile ridurre i ricoveri impropri, evitando che gli ospedali siano pieni di pazienti che potrebbero essere gestiti altrove. È fondamentale comprendere che la rete assistenziale non coincide con la rete ospedaliera, ma comprende molteplici servizi territoriali, inclusi quelli di emergenza-urgenza, le reti dell’infarto, dell’ictus e dello stroke”.
“Il paziente deve poter trovare risposte direttamente sul territorio. Dobbiamo tornare a un modello sanitario efficiente, guardando anche alle regioni più avanzate. L’ospedale deve restare un pilastro del sistema, ma riservato ai pazienti che ne hanno realmente bisogno – conclude –. I pazienti acuti necessitano del ricovero ospedaliero, mentre i pazienti cronici o con patologie che si riacutizzano nel tempo dovrebbero essere gestiti sul territorio. Questo è possibile solo se il territorio viene adeguatamente attrezzato con ambulatori e personale medico qualificato“.