Entro il 30 luglio 2025 scatterà lo stop definitivo all’utilizzo dei medici a gettone all’interno del Servizio sanitario nazionale. La scadenza, già annunciata mesi fa, è ora alle porte e rischia di produrre un vero e proprio terremoto nei reparti ospedalieri più esposti, a partire dall’emergenza-urgenza.
Ma il ministro della Salute, Orazio Schillaci, è fiducioso e ribadisce la necessità di superare definitivamente un modello considerato inefficiente, costoso e precario.
“Ciò che oggi viene speso per i medici a gettone può e deve essere utilizzato per fare assunzioni strutturate. Le professionalità esistono e se tanti giovani medici scelgono questa strada, è solo perché il sistema pubblico non è stato in grado di offrire condizioni attrattive – spiega -. Se non avranno più questa opzione, sono convinto che rientreranno dalla porta principale del Servizio sanitario nazionale. È necessario superare il precariato e rafforzare il personale dipendente, anche per garantire continuità, qualità dell’assistenza e sostenibilità economica”.
Una spesa fuori controllo
Secondo i dati aggiornati al 2024, la spesa per medici e infermieri a gettone in Italia ha superato i 457,5 milioni di euro, di cui 42,3 milioni solo per i medici e 8,7 milioni per gli infermieri, in crescita rispetto ai 314 milioni del 2022.
La Sicilia è tra le regioni che più hanno fatto ricorso a queste figure, infatti, oltre 10,3 milioni di euro sono stati spesi nel 2024 per coprire turni ospedalieri con personale esterno, collocando l’Isola al secondo posto nazionale.
Emergenza-urgenza in crisi
Il settore dell’emergenza-urgenza è quello che rischia di pagare il prezzo più alto. Nei Pronto soccorso siciliani i turni sono spesso garantiti quasi esclusivamente da gettonisti, che in alcuni presidi rappresentano fino all’80% del personale operativo. Senza queste figure, e senza un rafforzamento immediato degli organici strutturati, si rischiano gravi disservizi, riduzioni degli orari, allungamento delle attese e sospensioni nei turni notturni.
La Regione Siciliana ha cercato di correre ai ripari stanziando 14 milioni di euro per incentivare il personale sanitario dei PS e attivando un piano straordinario da 500 nuove assunzioni tra ASP e aziende ospedaliere, ma il fabbisogno stimato resta ben più ampio, ossia di almeno 1.494 unità secondo le rilevazioni ufficiali.
Oltre i PS
Anche altri reparti sono interessati dalla stessa dinamica. Anestesia e rianimazione, psichiatria e medicina interna, secondo i dati, fanno ampio ricorso a medici a gettone. In anestesia, ad esempio, la carenza di specialisti e l’alta incidenza di obiezioni di coscienza (oltre il 70%) rendono complicata la copertura dei turni, mentre in psichiatria e medicina interna sono proprio i turni notturni e festivi a essere garantiti quasi esclusivamente da personale esterno.
Nel tentativo di contenere il fenomeno, a gennaio 2025 il dirigente generale della Pianificazione strategica dell’assessorato regionale alla Salute, Salvatore Iacolino, emanò una direttiva per richiamare le aziende sanitarie al rispetto delle norme nazionali. Il documento, rivolto ai direttori generali di Asp e ospedali, stabiliva che il ricorso ai cosiddetti “gettonisti” potesse avvenire solo in caso di necessità e urgenza, per una sola volta, senza possibilità di proroga e per un periodo non superiore a 12 mesi, previa verifica dell’impossibilità di utilizzare personale interno o convenzionato con il Servizio sanitario nazionale.
Iacolino precisava che “la sussistenza dei presupposti di necessità e urgenza è indefettibile e doveva essere adeguatamente accertata e motivata dalla stazione appaltante. Le aziende, nella decisione di ricorrere ai gettonisti, avrebbero dovuto indicare i requisiti di professionalità del personale medico e infermieristico di cui intendevano avvalersi”. In caso di necessità residua, la direttiva ribadiva l’obbligo di attenersi alle linee guida ministeriali, compresi i limiti tariffari: 85 euro l’ora per medici in Pronto soccorso, anestesia e rianimazione; 75 euro per altri servizi medici; 28 euro per gli infermieri in PS e 25 euro per le restanti attività infermieristiche.
Assunzioni lente e concorsi deserti
Nonostante richiami normativi e tentativi di razionalizzazione, la realtà sul campo resta critica. La macchina delle assunzioni procede a rilento e, sebbene vengano banditi nuovi concorsi, molti posti restano scoperti. I giovani medici scelgono sempre più raramente la Sanità pubblica e italiana, scoraggiati da stipendi poco competitivi, carichi di lavoro insostenibili, burocrazia asfissiante, scarse prospettive di carriera, aggressioni e poca tutela.
Le difficoltà si acuiscono nelle Aziende sanitarie delle province interne e periferiche, dove coprire i turni è diventato sempre più complicato. Con l’imminente cessazione dei contratti a gettone, il rischio concreto è quello di interruzioni nei servizi, chiusure notturne, allungamento delle liste d’attesa e un ulteriore sovraccarico dei reparti più fragili, a partire dall’emergenza-urgenza.
Per rispondere all’emergenza, a giugno 2025 l’assessorato regionale alla Salute ha diramato una nuova circolare rivolta alle direzioni generali delle Aziende sanitarie, sollecitando la stabilizzazione del personale precario e un’accelerazione concreta delle procedure concorsuali. L’invito è chiaro: pubblicare i bandi, coprire i posti vacanti e ridurre la dipendenza dalle esternalizzazioni, nel rispetto dei tetti di spesa, così da colmare i vuoti nei reparti critici e liberare risorse per attivare i servizi territoriali.
Possibili soluzioni?
Tra le misure più discusse a livello nazionale figurano adeguamenti retributivi, detassazione del lavoro in corsia, maggiore tutela legale nei Pronto soccorso e percorsi formativi più rapidi per attrarre nuove leve nel sistema sanitario pubblico. Si tratta di interventi pensati per rendere più attrattiva la professione medica e favorire l’inserimento di giovani professionisti, contrastando l’emorragia verso il privato o l’estero.
Sul tavolo c’è anche la richiesta di una deroga temporanea ai tetti di spesa, che consentirebbe alle Regioni di affrontare l’emergenza con maggiore flessibilità, rispondendo in modo più tempestivo alle criticità nei reparti più esposti.
Una situazione che peggiora nei mesi estivi, quando le ferie programmate, le carenze di organico e i picchi di accesso nei Pronto soccorso mettono a dura prova il sistema sanitario, trasformando questo periodo in un vero e proprio inferno organizzativo e assistenziale.