Mentre il mondo si muove al ritmo frenetico dell’Intelligenza Artificiale, l’Europa si trova in un bivio strategico ed esistenziale. L’Unione Europea ha dimostrato una leadership etica e normativa con regolamenti ambiziosi come il GDPR e l’AI Act, affermando la sua volontà di costruire una vera “Sovranità Digitale”.
Questa sovranità non è solo una questione di leggi, ma la capacità di controllare e governare i propri dati, le proprie infrastrutture e di non dipendere dalle superpotenze tecnologiche, principalmente USA e Cina.
Tuttavia, tra l’ambizione normativa e la realtà infrastrutturale, esiste un divario pericoloso. L’Europa vuole governare il “potere invisibile dei dati” (Governance Algoritmica), ma fatica a costruire la base fisica di questa indipendenza. Il caso degli Aiuti di Stato destinati ai Datacenter nel Sud Italia è un sintomo lampante: ogni mossa strategica volta a rafforzare la dorsale digitale nazionale viene rallentata da burocrazia e frizioni regolamentari interne.
L’Europa rischia di vincere la battaglia etica e normativa, ma di perdere quella economica e strategica, rimanendo un “gigante normativo” privo di muscoli digitali propri. È urgente tradurre l’intenzione politica in investimenti rapidi e coordinati per non restare un mercato da colonizzare, ma diventare un vero polo di innovazione e potere digitale.
Abbiamo analizzato il panorama generale in materia di obiettivi, criticità e con un focus dedicato al Mezzogiorno e alla Sicilia (per il ruolo strategico che svolgono nel cuore del Mediterraneo) sul difficile percorso per arrivare alla “Sovranità Digitale Europea”.
L’urgenza di governare i dati: il nuovo “Petrolio” per una “Governance Algoritmica”
Nel nuovo millennio, il vero petrolio non è più il greggio, ma il dato. E in questo contesto, la battaglia geopolitica si gioca sulla capacità di un blocco economico di controllare questa risorsa, definendo il concetto di Sovranità Digitale. L’Europa, consapevole di essere rimasta indietro nella corsa all’innovazione pura rispetto a Silicon Valley e Shenzhen, ha scelto una via unica: affermare la sua leadership attraverso i valori, le norme e la Governance.
La Sovranità Digitale, per l’Unione Europea, è l’obiettivo di non dipendere da entità esterne per l’uso e la gestione delle proprie tecnologie critiche e dei propri dati. Se non controlliamo i nostri dati, non controlliamo la nostra economia, la nostra sicurezza e, in ultima analisi, la nostra democrazia. Il dibattito contemporaneo ha definito la “Governance Algoritmica” come il “potere invisibile dei dati” che influenza le nostre decisioni quotidiane. L’Europa ambisce a rendere quel potere visibile, controllabile e sottomesso ai principi democratici.
Per comprendere questa urgenza, pensiamo a quanto siamo dipendenti da infrastrutture esterne. Un’azienda di consulenza europea, per esempio, archivia tutti i suoi dati critici su server cloud non europei. Quei dati, pur essendo europei, sono gestiti sotto leggi e giurisdizioni straniere. In caso di controversie o richieste di accesso da parte di governi esteri, queste aziende non hanno la piena garanzia che le leggi europee a tutela dei suoi dati, come il GDPR, saranno pienamente rispettate.

Questa dipendenza non è solo un rischio legale: è una cessione implicita della sovranità economica e giuridica.
L’Europa ha reagito con forza, affermandosi come il “regolatore globale”. Strumenti come il GDPR hanno imposto standard elevati per la protezione dei dati. Tuttavia, la leadership normativa non si traduce automaticamente in leadership strategica. Se le Big Tech estere costruiscono l’autostrada digitale e l’Europa si limita a dettare il codice della strada, la dipendenza rimarrà.
I ritardi nella creazione di infrastrutture digitali europee, come i datacenter e le dorsali di rete, sono la grande vulnerabilità che rischia di far fallire l’intero progetto di Sovranità Digitale.
La domanda è, quindi, come passare dall’ambizione politica alla sua concreta realizzazione sul campo.
L’ambizione della Governance: il “Potere Invisibile” sotto controllo europeo
La filosofia che guida la strategia digitale europea è che il potere algoritmico non può essere un monopolio privato e opaco. L’Europa ha assunto la posizione di chi detta le regole etiche per il mondo, sostenendo che l’innovazione deve essere centrata sull’essere umano e non solo sul profitto. Questa ambizione è l’essenza della sua battaglia per la Sovranità Digitale.
Il cuore di questa strategia è il riconoscimento che la “Governance Algoritmica”, ovvero il sistema di regole attraverso cui algoritmi e dati plasmano le nostre decisioni (dall’assegnazione di un mutuo, alla moderazione dei contenuti, alla profilazione), non può rimanere un “potere invisibile” al di fuori del controllo democratico.
Il modello europeo si articola in una serie di atti legislativi senza precedenti:
* GDPR e l’Etica del Dato: Ha trasformato la privacy in un diritto esigibile a livello globale, imponendo la trasparenza e la minimizzazione della raccolta dati, cercando di limitare il carburante del potere algoritmico.
* DSA e DMA per la Trasparenza: Il Digital Services Act (DSA) e il Digital Markets Act (DMA) mirano a responsabilizzare le grandi piattaforme (i gatekeeper) sui contenuti che veicolano, imponendo trasparenza sugli algoritmi di raccomandazione e impedendo pratiche monopolistiche.
* L’AI Act per il Rischio Etico: L’imminente AI Act è il primo tentativo al mondo di classificare l’Intelligenza Artificiale in base al livello di rischio etico (alto, limitato, inaccettabile), imponendo requisiti di sorveglianza umana e qualità dei dati sui sistemi più critici (ad esempio, quelli usati nella selezione del personale o nella giustizia).
Questi strumenti definiscono l’ambizione della Sovranità Digitale europea: controllare il dato prima che il dato controlli noi.
L’UE è in grado di imporre a una Big Tech di rispettare l’AI Act; ma se quell’azienda decidesse di archiviare i dati in datacenter extra-europei, o di minacciare l’interruzione di servizi cloud essenziali, l’Europa si troverebbe paralizzata. La capacità di imporre le regole è limitata dalla dipendenza dall’infrastruttura sottostante.
Il successo della Governance Algoritmica non si misura solo dalla qualità delle sue leggi, ma dalla sua capacità di creare un terreno digitale domestico su cui quelle leggi possano essere pienamente applicate e imposte.
La crisi infrastrutturale: il blocco dei Datacenter nel Mezzogiorno
Il divario tra l’ambizione normativa e la realtà infrastrutturale si fa drammaticamente evidente quando si passa dalle leggi sui dati ai luoghi fisici in cui i dati risiedono: i datacenter e i cavi di rete. L’Europa non può essere sovrana senza una robusta e indipendente infrastruttura fisica europea.
L’ostacolo nazionale: il Piano Sud e gli “Aiuti di Stato”
Il caso specifico del Piano Sud per gli investimenti in Data Center nel Mezzogiorno illustra perfettamente le difficoltà pratiche che affliggono l’Europa. L’obiettivo italiano era chiaro: utilizzare fondi pubblici e Aiuti di Stato per incentivare la costruzione di data center ad alta capacità nel Sud.
Questa mossa avrebbe rafforzato l’infrastruttura nazionale e colmato un gap territoriale, contribuendo alla creazione di una dorsale digitale più resiliente, in linea con l’obiettivo europeo di minore dipendenza.
Il mercato dei data center
L’Italia rappresenta il 7,6% del totale europeo e si stima che un mix di condizioni favorevoli potrà abilitare 23 miliardi di euro di investimenti entro il 2030, un impulso che porterà benefici economici triplicando l’occupazione nel settore nei prossimi cinque anni. Questo secondo i dati contenuti nell’analisi della Community Data Center Italia di Teha Group (The European House – Ambrosetti), che ha analizzato ad aprile 2025 lo sviluppo del settore nel nostro paese.
L’Italia – sottolinea il rapporto – ha il potenziale per essere un hub tecnologico di riferimento in Europa ma emergono delle criticità strutturali da affrontare come la necessità di investire nel capitale umano per colmare la carenza di personale qualificato e soprattutto l’urgenza di realizzare infrastrutture in grado di distribuire l’energia in modo efficiente.
Tra le soluzioni emerge la creazione di un Net Zero Digital Energy Hub, un modello integrato di pianificazione territoriale che concentri gli investimenti in infrastrutture IT ed energetiche. Inoltre, secondo l’analisi Thea entro il 2030 il 60% dei data center sarà Hyperscale, evidenziando un orientamento verso la centralizzazione delle infrastrutture digitali per rispondere alla crescente domanda di soluzioni scalabili ed efficienti.

Per garantire uno sviluppo equilibrato, sottolinea Teha, “è necessario costruire uno scenario di riferimento che orienti le scelte di investitori, aziende e istituzioni pubbliche, per raggiungere un equilibrio tra architettura informatica, efficienza digitale e criticità realizzative, con particolare attenzione al tema energetico”.
“I data center sono motori d’innovazione e un’occasione per rafforzare la resilienza economica del Paese, stimolando occupazione qualificata e investimenti in settori come l’impiantistica e il real estate. Per farlo, serve una visione chiara e una collaborazione interfiliera: un dialogo strutturato che coinvolga tutti gli attori della catena del valore, dalla gestione dei dati alle infrastrutture energetiche, fino al settore pubblico”, afferma Alessandro Viviani, Associate Partner e Responsabile della Community Data Center di Teha Group.
In un successivo rapporto pubblicato a settembre 2025, nel Position Paper “L’Italia dei data center. Energia, efficienza, sostenibilità per la transizione digitale” realizzato da TEHA Group in collaborazione con A2A e presentato nell’ambito della 51^ edizione del Forum di Cernobbio emergeva che nel mondo a fine 2024 risultano censiti 10.332 data center distribuiti in 168 Paesi, oltre la metà dei quali negli Stati Uniti (5.426), seguiti dall’Unione Europea (2.254), seconda potenza mondiale per capacità installata.
In questo scenario, l’Italia stia guadagnando un ruolo sempre più centrale. Mentre i grandi hub storici europei (Francoforte, Londra, Amsterdam, Parigi, Dublino) mostrano segnali di saturazione a fronte di una serie di vincoli energetici, infrastrutturali, urbanistici e normativi, Milano e la Lombardia si stanno affermando come poli strategici, attirando l’interesse crescente degli investitori.
Il numero di data center presenti nel nostro Paese è infatti in crescita: le 168 strutture rilevate nel 2024, per una potenza installata di 513 MW, posizionano l’Italia al 13° posto a livello mondiale. Milano, con una capacità installata di 238 MW, pari al 46% della capacità nazionale, supera quella di città come Madrid e Zurigo.
Lo sviluppo di queste infrastrutture ha anche un impatto economico rilevante. Nel 2024, la Data Economy italiana vale 60,6 miliardi di euro, pari al 2,8% del PIL, e rappresenta uno dei principali driver della nostra crescita. Se l’Italia riuscisse a raggiungere i best performer tra i Paesi europei, come Estonia, Finlandia e Paesi Bassi, questo valore potrebbe salire a 207 miliardi di euro entro il 2030. Inoltre, si prevede che lo sviluppo del settore possa contribuire alla crescita annuale del PIL: la stima va dal 6% nello scenario tendenziale al 15% in quello di pieno sviluppo, con l’abilitazione rispettivamente di 77mila e 150mila posti di lavoro diretti, indiretti e indotti.
Tuttavia, anche in questo report, veniva evidenziato che lo sviluppo dei data center comporta le stesse problematiche. Da un lato, la crescente domanda di energia implica la necessità di garantire una fornitura stabile e sostenibile, favorendo l’integrazione delle energie rinnovabili con sistemi termoelettrici a ciclo combinato di ultima generazione – di cui l’Italia si stava già dotando nell’ambito dei progetti per garantire continuità e stabilità alla rete – che attualmente rappresentano la principale fonte di energia del Paese. Dall’altro lato, il loro efficientamento energetico rappresenta un obiettivo centrale per lo sviluppo sostenibile del settore.
Nell’ambito del Paper sono identificate quattro leve strategiche di efficienza, la cui adozione coordinata consente di massimizzare le performance del sistema, ridurre le emissioni e promuovere un modello industriale circolare.
- recupero di calore attraverso le reti di teleriscaldamento
- utilizzo di aree brownfield per la realizzazione di nuovi impianti
- impiego di Power Purchase Agreements (PPA) per garantire forniture energetiche green, stabili e tracciabili
- valorizzazione dei RAEE (Rifiuti da Apparecchiature Elettriche ed Elettroniche) prodotti dai data center.
Secondo le stime di TEHA, l’adozione integrata delle leve in uno scenario di sviluppo “full potential” del settore dei data center consentirebbe di evitare 5,7 milioni di tonnellate di CO₂ di emissioni annue, un volume pari a quelle generate da 1,7 milioni di cittadini, e un beneficio economico totale di circa 1,7 miliardi di euro. Numeri che a livello sistemico si aggiungono ai circa 55 miliardi di euro di contributo al PIL nazionale.
Nello specifico, l’allaccio dei data center alle reti di teleriscaldamento abiliterebbe la valorizzazione di 9,5 TWh di energia termica, sufficienti a soddisfare il fabbisogno di circa 800.000 famiglie, evitando le emissioni di 2 milioni di tonnellate di CO2, pari a oltre il 5% delle emissioni degli attuali consumi residenziali: il risparmio equivale a quello generato dall’installazione di 2,3 milioni di pompe di calore, circa il 55% del parco installato al 2024. Un percorso che non è solo prospettiva, ma già realtà. A Brescia, il data center Qarnot inaugurato lo scorso giugno presso la centrale Lamarmora consente di recuperare calore di scarto per alimentare il teleriscaldamento 4.0, riscaldando 1.350 appartamenti e portando benefici diretti a famiglie e ambiente. A Milano, dal 2026, il progetto “Avalon 3” permetterà di immettere nella rete oltre 15 GWh di energia termica all’anno, contribuendo a riscaldare migliaia di abitazioni.
Inoltre, l’impiego di aree brownfield per la realizzazione di nuove infrastrutture consentirebbe al settore di contribuire alla rigenerazione urbana, di ridurre il consumo di suolo vergine e accelererebbe i tempi di connessione alla rete. Secondo le stime, in Italia sono disponibili circa 3,7 milioni di metri quadrati di aree dismesse, di cui il 16% dispone di un allaccio in media o alta tensione.
L’adozione di Power Purchase Agreements (PPA) – ossia, accordi a lungo termine tra un produttore di energia rinnovabile e un acquirente per l’acquisto di elettricità – permetterebbe ai data center di coprire fino al 74% del loro fabbisogno energetico con fonti rinnovabili, garantendo forniture stabili e tracciabili e favorendo nuovi investimenti in capacità verde. In uno scenario di pieno sviluppo, questa leva può contribuire a una riduzione stimata di circa 3,7 milioni di tonnellate di CO₂ annue, rafforzando la decarbonizzazione del settore e la resilienza del sistema elettrico nazionale.
Infine, la valorizzazione dei RAEE (Rifiuti da Apparecchiature Elettriche ed Elettroniche) prodotti dal data center consentirebbe di recuperare valore economico attraverso il riciclo, ridurre l’impatto ambientale del settore e rafforzare le catene di approvvigionamento nazionali. Secondo le stime, i data center italiani potrebbero generare oltre 147 mila tonnellate di RAEE all’anno, di cui circa 74 mila riciclabili, attivando una filiera nazionale del trattamento e generando un valore economico annuo di 133 milioni di euro.
FONTE DATI: Position Paper – “L’Italia dei data center. Energia, efficienza, sostenibilità per la transizione digitale”
Il ruolo geopolitico della Sicilia
In questo contesto, la Sicilia assume un ruolo di importanza geopolitica cruciale, spesso sottovalutato. La sua posizione geografica non è solo periferica rispetto al continente europeo, ma è centrale nel Mediterraneo, agendo da naturale hub per le comunicazioni subacquee.
Molti dei cavi sottomarini in fibra ottica che collegano l’Europa all’Africa, al Medio Oriente e all’Asia approdano direttamente o transitano molto vicino alla Sicilia.
Questo la rende una porta d’accesso vitale per il traffico globale di dati. Avere Data Center e infrastrutture avanzate direttamente nei punti di approdo dei cavi permette di ridurre drasticamente le latenze, rendendo l’isola un potenziale polo di eccellenza per servizi ad alta velocità. Emerge quindi è che il Mezzogiorno, e in particolare la Sicilia sono snodi nevralgici del Mediterraneo, non può più essere considerato solo un’area da assistere con fondi, ma deve essere visto come una risorsa strategica da sviluppare urgentemente per la sicurezza e l’indipendenza digitale italiana ed europea.
La Sicilia “crocevia geopolitico” nel mondo: da periferia a nodo strategico del Mediterraneo?
Nonostante l’urgenza strategica, l’iniziativa si è scontrata con le procedure della stessa Unione Europea, in particolare sulla questione degli Aiuti di Stato. L’UE ha richiesto chiarimenti e verifiche approfondite, per assicurarsi che tali aiuti non falsassero la concorrenza a livello comunitario.
Questo stallo rivela il conflitto interno che paralizza l’Europa: l’obiettivo di garantire la concorrenza (un pilastro del mercato unico) entra in collisione con l’obiettivo di assicurare l’autonomia strategica.

Il paradosso: l’Europa è talmente brava a regolamentare che, a volte, finisce per regolamentare anche le proprie iniziative strategiche fino a soffocarle nella burocrazia. I suoi strumenti di controllo, progettati per tutelare il mercato, diventano ostacoli all’urgente costruzione della Sovranità Digitale.
La lentezza nell’attuare piani come quello dei Datacenter nel Sud Italia ha gravi conseguenze: perdita economica, vulnerabilità geopolitica e inefficacia della Governance. Senza un’infrastruttura propria, l’applicazione delle ambiziose norme etiche (come l’AI Act) diventa un esercizio teorico, perché il controllo finale sui dati rimane in mano a chi gestisce i server fisici.
L’Europa resta un gigante normativo con i piedi d’argilla.
Dalla norma al mattone: l’urgenza di “agire”
L’analisi evidenzia la profonda contraddizione che affligge il progetto di Sovranità Digitale europea. L’Europa ha vinto la battaglia della leadership normativa imponendo standard etici globali, ma è in ritardo nella conquista del controllo infrastrutturale. Questo divario è la sua più grande vulnerabilità strategica.
Il futuro digitale dell’Europa dipende dalla capacità di risolvere il suo trilemma strategico: mantenere la leadership normativa, accelerare la costruzione infrastrutturale e garantire la competitività economica.
Il caso degli Aiuti di Stato nel Mezzogiorno è emblematico del fallimento nel conciliare queste priorità. Se l’Europa non può finanziare rapidamente la sua infrastruttura digitale strategica, è destinata a rimanere una colonia tecnologica, un mercato da conquistare per le Big Tech, costretta a impiegare le sue eccellenti leggi su hardware che non le appartiene.
È necessario un cambiamento radicale di mentalità: i datacenter e le reti ad alta velocità devono essere considerati infrastrutture critiche per la sicurezza nazionale e la difesa, al pari di porti e ferrovie. Questo permetterebbe di velocizzare i processi di investimento e di superare le frizioni burocratiche. L’Europa deve coordinare i suoi piani infrastrutturali per creare un vero “Cloud Europeo” unificato.
La battaglia per la Sovranità Digitale non è una competizione sulla velocità del lancio di nuovi gadget, ma è una lotta per l’autonomia strategica del continente.
Solo costruendo la base fisica del suo potere digitale, l’Europa potrà trasformare le sue norme etiche in una reale influenza geopolitica. Il tempo dell’inerzia burocratica è finito. È urgente agire subito per garantire che l’Europa, forte della sua etica e della sua legge, diventi anche padrona del suo futuro digitale.



