Il 18esimo rapporto sulla sussidiarietà 2023-2024 della Fondazione per la Sussidiarietà offre una panoramica dettagliata sulla situazione del welfare territoriale in Italia, evidenziando le disparità esistenti tra le diverse regioni e l’impatto delle politiche di spesa sui servizi sociali.
L’analisi completa, uscita a febbraio 2025, evidenzia come la gestione dei fondi e la governance del welfare influenzino direttamente la qualità della vita dei cittadini, specialmente nelle aree più fragili del paese.
In questo contesto, la Sicilia emerge come un caso emblematico, con una spesa sociale pro capite elevata rispetto alla media nazionale, ma comunque inferiore a quella di altre regioni del Mezzogiorno.
IlSicilia.it ha analizzato i dati del rapporto e realizzato un focus specifico sulla situazione del welfare nella nostra regione, mettendola a confronto con le altre aree del paese, per comprendere punti di forza e criticità del sistema siciliano.
Il welfare territoriale in Sicilia: tra spesa improduttiva e disparità regionali
La spesa sociale nei comuni siciliani e il confronto con le altre regioni
Dai dati analizzati nel rapporto emerge che la spesa sociale dei comuni siciliani è cresciuta costantemente negli ultimi anni, passando da 107 euro pro capite nel 2019 a 128 euro nel 2023, con un incremento del 20,4%. Questo dato colloca la Sicilia al di sopra della media nazionale di 117 euro, ma al di sotto di altre regioni come la Sardegna, che nel 2023 ha raggiunto una spesa media di 482 euro pro capite.
A livello nazionale, si osservano forti squilibri regionali nella spesa per il welfare. Nel Nord-Est, la spesa media pro-capite nel 2023 è stata di 111 euro, mentre nel Nord-Ovest si attesta a 85 euro. Il Centro Italia presenta un valore intermedio di 102 euro, mentre il Sud registra una media di 100 euro, con le isole che si distinguono per una spesa superiore alla media, pari a 302 euro.
Guardando più nel dettaglio, regioni come la Puglia hanno incrementato la spesa del 56,2% tra il 2019 e il 2023, mentre la Campania ha registrato un aumento del 76,5%, segno di un impegno crescente nel potenziamento del welfare. La Basilicata ha visto una crescita del 34,9%, mentre la Calabria del 40,3%.
Questi dati mostrano come il Mezzogiorno stia cercando di colmare il divario con il Centro-Nord, pur partendo da una situazione di maggiore fragilità.

Un altro elemento chiave è la capacità di gestione delle risorse: Le Regioni a Statuto Speciale, come la Sicilia e la Sardegna, beneficiano di maggiore autonomia finanziaria, ma la loro efficienza amministrativa incide fortemente sulla qualità dei servizi.
La Sicilia, pur avendo un livello di spesa relativamente alto, non riesce a ottenere gli stessi risultati di altre regioni, a causa di una minore capacità di governance e di utilizzo dei fondi.
Infine, i dati mostrano un problema sistemico nel welfare italiano: la disomogeneità territoriale. Mentre le regioni del Nord garantiscono una spesa più equilibrata tra i vari servizi, il Sud, inclusa la Sicilia, risente di una maggiore frammentazione e di un accesso più limitato alle prestazioni sociali, con un’alta percentuale di cittadini che segnalano difficoltà nell’ottenere servizi essenziali, soprattutto nell’assistenza agli anziani e alle persone con disabilità.
I dati delle province
Le differenze di spesa sociale sono evidenti anche a livello provinciale. Palermo e Catania, le due province più popolose, registrano una spesa pro capite rispettivamente di 145 e 138 euro nel 2023, posizionandosi sopra la media regionale.
Qui un riassunto della spesa pro-capite media per i servizi sociali nei comuni siciliani tra le province:
Palermo: 145 euro pro-capite
Catania: 138 euro pro-capite
Messina: 130 euro pro-capite
Siracusa: 115 euro pro-capite
Ragusa: 110 euro pro-capite
Trapani: 105 euro pro-capite
Agrigento: 100 euro pro-capite
Enna: 95 euro pro-capite
Caltanissetta: 95 euro pro-capite
Al contrario, province più piccole come Enna e Caltanissetta si attestano a livelli significativamente inferiori, con una spesa di circa 95 euro pro capite. Siracusa e Ragusa si collocano su valori intermedi, con una spesa media rispettivamente di 115 e 110 euro.
Queste differenze possono essere attribuite a fattori demografici, amministrativi e al diverso livello di accesso ai finanziamenti regionali e nazionali. Le grandi città, con strutture di welfare più consolidate, sono in grado di investire maggiormente nei servizi sociali, mentre i piccoli comuni incontrano maggiori difficoltà.
I dati dei comuni capoluogo di regione
Un ulteriore approfondimento riguarda la spesa sociale a livello comunale. Nei comuni siciliani con meno di 20.000 abitanti, la spesa pro capite per i servizi sociali varia tra 82 e 97 euro, mentre nei comuni più grandi supera i 150 euro.
Palermo, con una spesa di 165 euro pro capite, è la città con il più alto investimento in welfare, seguita da Catania e Messina.
Tuttavia, i comuni più piccoli e quelli dell’entroterra soffrono di una carenza di risorse e competenze, che impedisce loro di garantire servizi adeguati alla popolazione. Le differenze di spesa sono un riflesso della difficoltà di alcuni territori nel garantire un sistema di welfare uniforme e inclusivo.
Analizzando i principali comuni capoluogo della regione, emerge una spesa più elevata rispetto alle medie provinciali:
Palermo: 165 euro pro-capite
Catania: 150 euro pro-capite
Messina: 145 euro pro-capite
Siracusa: 130 euro pro-capite
Ragusa: 125 euro pro-capite
Trapani: 120 euro pro-capite
Agrigento: 115 euro pro-capite
Enna: 105 euro pro-capite
Caltanissetta: 100 euro pro-capite
Dove vengono destinati i fondi per la spesa sociale?
Gran parte delle risorse della spesa sociale dei comuni siciliani, secondo il report, viene destinata al sostegno alle famiglie (35%), seguito dall’assistenza agli anziani (25%) e dal supporto alle persone con disabilità (20%).
Mentre il restante 20% è dedicato a interventi per l’inclusione sociale e ai servizi sociosanitari, evidenziando una distribuzione che privilegia la protezione delle fasce più vulnerabili della popolazione.
Disparità territoriali e governance del welfare
Il welfare in Sicilia, come in altre regioni del Mezzogiorno, è fortemente dipendente dai trasferimenti statali. I comuni siciliani, infatti, faticano a sfruttare appieno gli strumenti di co-progettazione e co-programmazione previsti dalla normativa.
Il sistema di welfare siciliano si caratterizza per una gestione ancora ancorata a modelli tradizionali, che non riescono a rispondere adeguatamente alle evoluzioni moderne. Un altro dato significativo riguarda la fiducia interpersonale: solo il 16,1% della popolazione siciliana ritiene che la maggior parte delle persone sia degna di fiducia, un dato ben al di sotto di quello registrato nelle province autonome di Bolzano e Trento (39,6% e 37,3%, rispettivamente).
Questo suggerisce che le politiche sociali non possono limitarsi a un incremento della spesa, ma devono essere accompagnate da interventi mirati a rafforzare la coesione sociale.
Il welfare visto dai cittadini: tra speranze e disillusioni
Una sezione del rapporto di sussidiarietà 2023/24 è dedicata alla percezione dei cittadini della diseguaglianza diffusa tra la popolazione condotta da Ipsos, a cura di Enzo Risso, s’incarica di verificare come i cittadini valutano i servizi di welfare territoriale, quali sono i criteri che vengono adottati a questo scopo, come viene percepito il ruolo del Terzo settore, come viene considerato il futuro del welfare e che impressione essi traggono circa il ruolo dello Stato e del sistema pubblico in generale.
Abbiamo analizzato gli aspetti più importanti:
Un sistema in affanno e crescono le disuguaglianze: la Sicilia una delle regioni più colpite
Il welfare italiano affronta un nodo cruciale: rispondere alle esigenze di una popolazione sempre più frammentata e in difficoltà economica. Tra il 67% e l’80% dei cittadini ha segnalato difficoltà di accesso ai servizi essenziali negli ultimi tre anni, evidenziando un divario tra domanda e offerta.
La percezione generale è di un sistema inefficiente e disomogeneo a livello nazionale.
La Sicilia, in particolare, emerge come una delle regioni più colpite da queste disparità. Uno degli elementi più critici riguarda la crescita della povertà, percepita in aumento dal 58% degli intervistati. Questo fenomeno è particolarmente rilevante nel Mezzogiorno, dove le opportunità economiche sono più limitate e il mercato del lavoro è caratterizzato da elevata precarietà.
Anche il divario tra ceti sociali è in crescita: il 54% degli italiani avverte una frattura sempre più netta tra classi medio-basse e quelle più abbienti, una situazione aggravata dalla stagnazione salariale e dalla riduzione delle tutele lavorative.
Un altro aspetto critico è l’accesso ai servizi sanitari. Il 44% degli intervistati ritiene che vi siano disuguaglianze significative nella qualità delle cure disponibili, con il Sud e le Isole che soffrono di carenze strutturali e di un accesso ridotto alle prestazioni sanitarie rispetto al Nord. In Sicilia, la situazione è particolarmente complessa: gli ospedali soffrono di sottofinanziamento, e i tempi di attesa per visite e interventi sono tra i più alti d’Italia.
Il mercato del lavoro rappresenta un ulteriore fattore di disuguaglianza. La mancanza di opportunità per i giovani è un problema segnalato dal 42% degli italiani, con il Mezzogiorno che registra le percentuali più alte. In Sicilia, la disoccupazione giovanile è una delle più elevate del Paese, ostacolando la mobilità sociale e costringendo molti a emigrare in cerca di migliori prospettive.
Anche le disparità territoriali tra aree urbane e periferiche sono in aumento, con un 38% che segnala una distribuzione iniqua delle infrastrutture e dei servizi.
In Sicilia, questa problematica si manifesta con forti squilibri tra le città principali, come Palermo e Catania, e le province più interne, dove la carenza di trasporti, scuole e ospedali limita le opportunità per i residenti.
Infine, il divario di genere rimane una questione aperta, con il 25% degli intervistati che percepisce un aumento delle disparità tra uomini e donne. In Sicilia, le donne affrontano tassi di occupazione più bassi rispetto alla media nazionale e incontrano maggiori difficoltà nel conciliare lavoro e famiglia a causa della carenza di servizi di supporto, come gli asili nido.
Nel complesso, il rapporto sottolinea la necessità di politiche più efficaci per ridurre le disuguaglianze, con interventi mirati per migliorare l’accesso al welfare, alla sanità e al lavoro.
Le aspettative dei cittadini: maggiore richiesta di semplificazione e accessibilità ai servizi
Le richieste principali riguardano la riduzione dei tempi di attesa (53%), il miglioramento della qualità dei servizi (48%) e una diminuzione dei costi (37%). Solo il 40% valuta positivamente l’assistenza agli anziani e ai disabili, mentre meno del 38% promuove le politiche contro la povertà e il disagio sociale.
Il 35% degli intervistati sottolinea la necessità di semplificare le procedure burocratiche e ampliare le modalità di accesso ai servizi, includendo strumenti digitali e soluzioni domiciliari. Tuttavia, solo il 10% considera la digitalizzazione una priorità, indicando un interesse ancora limitato verso l’innovazione tecnologica nel welfare.
Il ruolo del Terzo Settore e della sussidiarietà
Il rapporto tra settore pubblico e privato nella gestione del welfare è un altro tema decisivo. Mentre i servizi pubblici restano il pilastro principale, cresce il coinvolgimento del Terzo Settore, che secondo molti cittadini potrebbe svolgere un ruolo più ampio nell’erogazione di prestazioni personalizzate e flessibili.
Negli ultimi anni, il Terzo Settore ha assunto un ruolo sempre più rilevante all’interno del sistema di welfare italiano, integrando le carenze del settore pubblico. Secondo il Rapporto sulla Sussidiarietà 2023-2024, il 70% degli italiani ritiene che l’importanza del Terzo Settore sia destinata a crescere, con una percezione più forte tra gli over 65 (77%) e nelle Isole (77%).
Le organizzazioni non profit forniscono servizi essenziali in settori come l’assistenza agli anziani, ai disabili e alle famiglie vulnerabili. Il 66% degli italiani ritiene che il Terzo Settore stia colmando le lacune lasciate dallo Stato, una percentuale che sale al 71% nel Nord Italia, dove il tessuto associativo è più sviluppato. Inoltre, il 69% degli intervistati considera il non profit un elemento chiave per garantire servizi sociali di qualità.
Tuttavia, emergono alcune criticità: il 42% della popolazione ritiene che i servizi offerti dal Terzo Settore siano di qualità inferiore rispetto a quelli pubblici, una percezione più diffusa tra i giovani sotto i 30 anni (53%) e tra i lavoratori (49%). Inoltre, vi è una carenza di conoscenza sulle attività di queste organizzazioni, con solo una parte della popolazione realmente consapevole del loro impatto, con meno di un quarto della popolazione consapevole del loro operato.
In sintesi, il Terzo Settore sta diventando sempre più centrale nella gestione del welfare, ma il suo potenziale potrebbe essere ulteriormente valorizzato con una maggiore integrazione con il settore pubblico e con un rafforzamento delle competenze gestionali e finanziarie.
La Storia del Welfare in Italia
Le origini
Il sistema di welfare italiano ha radici lontane e si è sviluppato attraverso vari passaggi, rispondendo alle necessità di protezione sociale della popolazione. Il concetto di “Welfare State”, ovvero uno Stato che garantisce un sistema di sicurezza sociale universale, si afferma in Italia nel secondo dopoguerra, ma le sue origini possono essere rintracciate anche nei primi decenni del XX secolo.
La nascita del welfare in Italia coincide con l’avvento dello Stato liberale, che iniziò a porre le basi per una forma di assistenza sociale. con le prime assicurazioni sociali volontarie contro gli infortuni (1883), divenute obbligatorie nel 1898, e con la riforma delle Opere Pie (1890), che rafforzò il controllo statale sull’assistenza.
Dopo la Prima guerra mondiale, furono introdotte la pensione statale (1919) e l’assicurazione pubblica contro la disoccupazione, ma le politiche rimasero frammentarie per la crisi economica e le tensioni sociali. Durante il fascismo (1922-1943), il welfare si espanse con l’Istituto Nazionale Fascista per la Previdenza Sociale e gli assegni familiari, ma divenne strumento di controllo politico. Le tutele restarono legate al lavoro, escludendo un sistema di diritti universali. Il settore sanitario rimase disorganizzato, senza un modello unitario di assistenza.

Tuttavia, è con la Costituzione del 1948 che il welfare acquista una dimensione universale, stabilendo il diritto alla salute, all’istruzione, al lavoro e alla protezione sociale L’articolo 38 stabilisce che “ogni cittadino inabile al lavoro e privo dei mezzi necessari per vivere ha diritto al mantenimento e all’assistenza sociale”. Nei decenni successivi, il sistema si sviluppa attraverso leggi chiave, tra cui la Legge 132/1968, che istituisce l’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro.
In quegli anni si consolidano anche i diritti legati alla disoccupazione, all’assistenza agli invalidi (Legge 118/1971), e la tutela della maternità (Legge 903/1977). La creazione di un sistema universale di welfare impone una forte espansione della spesa pubblica, con il conseguente rafforzamento dell’intervento dello Stato.
Il sistema sanitario e le politiche sociali
Un passo fondamentale avviene nel 1978 con la Legge 833 ,che istituisce il Servizio Sanitario Nazionale (SSN). Questo sistema introduce un modello di sanità universale, basato sui principi di uguaglianza e solidarietà, garantendo assistenza gratuita o a basso costo a tutti i cittadini.
Negli anni Ottanta e Novanta, si assiste a un’espansione delle politiche sociali, con la nascita di servizi per la famiglia, l’inclusione sociale e il sostegno alle categorie più vulnerabili. Tuttavia, la crescente pressione economica porta a riforme volte a razionalizzare la spesa pubblica.
L’evoluzione del Welfare
Dal 2000 in poi, il welfare italiano affronta varie trasformazioni legate alla crisi economica e alla riforma del sistema pensionistico.

Le politiche di austerità e il vincolo di bilancio imposto dall’Unione Europea (in particolare dal Trattato di Maastricht e dal Fiscal Compact) comportano una riduzione delle risorse destinate al welfare.
La Legge 335/1995 di riforma delle pensioni (la riforma Dini) e la Legge 449/1997 (riforma fiscale) segnano l’inizio di un periodo di razionalizzazione della spesa pubblica, con l’obiettivo di rendere il welfare più sostenibile nel lungo periodo. Inoltre, la crescente globalizzazione e l’invecchiamento della popolazione pongono sfide sempre più difficili al sistema.

In questo periodo, la spesa pubblica viene progressivamente ridotta e si inizia a parlare di riforme, cercando di orientare il welfare verso un modello più sostenibile, riducendo gli sprechi e migliorando l’efficienza. Le riforme degli anni 2000 sono caratterizzate da un progressivo decentramento delle politiche sociali verso le regioni e gli enti locali, che assumono maggiore autonomia nella gestione del welfare, seppur con risorse più limitate.
La Legge 328/2000 (riforma del sistema delle politiche sociali) promuove l’autonomia locale, ma al contempo solleva problemi di coordinamento tra Stato, regioni e comuni.
Il Welfare oggi
Attualmente, il sistema di welfare deve affrontare il problema della sostenibilità finanziaria, reso più complesso dall’invecchiamento della popolazione e dalla precarizzazione del lavoro. Nuove tecnologie, come la telemedicina, stanno trasformando i servizi assistenziali, rendendoli più efficienti ma sollevando interrogativi etici e operativi.
Tra le misure più discusse negli ultimi anni vi è il Reddito di Cittadinanza (Legge 26/2019), volto a contrastare la povertà e favorire l’inserimento lavorativo. Questo strumento, seppur innovativo, ha generato dibattito sulla sua efficacia.
Nonostante la presenza di un sistema sanitario pubblico universale e di strumenti di protezione sociale, persistono forti disparità tra le regioni del Nord e del Sud, con un Mezzogiorno che soffre di un welfare meno efficiente e di una maggiore dipendenza dai trasferimenti statali. La crescente povertà, l’invecchiamento della popolazione e le nuove problematiche sociali richiedono una revisione e un potenziamento del sistema, anche attraverso un maggiore coinvolgimento del settore privato e del Terzo Settore.
Nel 2015, con la Legge 232/2016 (Legge di Stabilità), il Governo ha introdotto importanti misure di contrasto alla povertà, come il Reddito di Inclusione (REI), che è stato successivamente sostituito dal Reddito di Cittadinanza con il Decreto Legge 4/2019. A partire dal 1° gennaio 2024, il Reddito di cittadinanza non è più attivo ed è stato sostituito da una nuova misura di sostegno: l’Assegno di inclusione e il supporto per la formazione e il lavoro che ha platea e caratteristiche diverse rispetto al precedente strumento di Welfare.
Tuttavia, le difficoltà economiche e la scarsa capacità del sistema di welfare di rispondere alle disuguaglianze sociali ed economiche fanno emergere il bisogno di un profondo rinnovamento delle politiche sociali.
Metodologia e Fonti dei Dati
Il Rapporto “Sussidiarietà e..welfare territoriale -Rapporto sulla sussidiarietà 2023-24” è stato realizzato dalla Fondazione per la Sussidiarietà, un think tank nato nel 2002 con l’obiettivo di promuovere la cultura della sussidiarietà come strumento per lo sviluppo sociale, economico e istituzionale.
Gli autori principali del rapporto sono Emilio Colombo, Paolo Venturi, Lorenza Violini e Giorgio Vittadini. Inoltre, il rapporto ha coinvolto esperti e ricercatori di diversi ambiti, tra cui Elisa Berntsen (Istat) e Luigi Campiglio (Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano).
L’analisi è stata condotta attraverso diverse fonti di dati:
-Indagine Ipsos realizzata con metodologia CAWI su un campione di 1.000 persone dai 18 anni in su per raccogliere la percezione dei cittadini sul welfare.
-Banca dati “Siope+” di Banca d’Italia, utilizzata per analizzare la spesa sociale dei bilanci degli enti locali.
-Dati Ifel-Sose, raccolti attraverso questionari somministrati ai Comuni per stimare la spesa sociale e i fabbisogni standard.
-Fonti istituzionali, come l’Agenzia per la Coesione Territoriale e i Conti Pubblici Territoriali, per confronti a livello regionale e nazionale.