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Svolta nel delitto dell’avvocato Fragalà, fu la mafia: sei persone arrestate a Palermo

mercoledì 15 Marzo 2017

A una svolta le indagini per l’omicidio Fragalà: il penalista palermitano ed esponente politico di Alleanza nazionale fu assassinato dalla mafia. La procura di Palermo ha chiesto e ottenuto l’arresto di 6 persone accusate dell’omicidio dell’avvocato, aggredito a due passi dal suo studio a febbraio del 2010, nel centro della città e morto 3 giorni dopo il ricovero in ospedale.

In manette sono finiti Francesco Arcuri, Antonino AbbateSalvatore e Antonino Ingrassia, Paolo Cocco e Francesco Castronovo. Arcuri avrebbe organizzato la spedizione punitiva. A portare il bastone sarebbe stato Paolo Cocco, mentre Abbate avrebbe avuto un ruolo di copertura. Il colpo mortale sarebbe stato sferrato materialmente da Castronovo.

Scena del delitto - FragalàLa svolta, a seguito delle nuove dichiarazioni del pentito Francesco Chiarello. Il penalista palermitano venne aggredito a bastonate all’uscita dal suo studio legale. Le sue condizioni apparsero subito gravissime. I killer prima gli spezzarono le gambe e lo fecero cadere a terra, poi si accanirono su di lui colpendolo alla testa. Morì dopo tre giorni di coma.

“Ma il mandante chi è?” “Gregorio Di Giovanni”. Risponde secco Chiarello alle domande del pm su chi avesse ordinato l’omicidio del penalista palermitano Enzo Fragalà. Di Giovanni, capomandamento di Porta Nuova in carcere per scontare una condanna per mafia, non è tra le persone colpite da mandato di arresto oggi, perché a suo carico, come di un altro mafioso, Giuseppe Auteri, ci sono, per ora, solo le accuse del pentito, ma mancano altri riscontri.

Secondo la procura a ordinare l’omicidio fu il boss del “mandamento” di Porta Nuova Francesco Arcuri. Gli esecutori materiali furono Paolo Cocco e Francesco Castronovo. Tutti e tre erano liberi al momento dell’arresto.

Il delitto sarebbe stato programmato dai mafiosi del Borgo Vecchio Antonino Abate, Salvatore Ingrassia e dal boss di Resuttana Antonio Siragusa. I tre, tutti detenuti per altro, vennero indagati e arrestati in passato per l’omicidio, ma poi scarcerati. Nella prima indagine, chiusa con un’archiviazione, era già emerso il coinvolgimento di cosa nostra nel delitto, ma il movente, poi rivelatosi falso, venne individuato in presunte avances fatte da Fragalà alla moglie di un detenuto vicino alla mafia. Pista sostenuta anche da una collaboratrice di giustizia, che, però avrebbe riferito voci messe in giro da cosa nostra per allontanare da sé i sospetti.

In realtà l’avvocato sarebbe stato assassinato perché avrebbe invitato alcuni suoi clienti accusati di mafia a dissociarsi o a pentirsi e dunque, il delitto sarebbe stato deciso come avvertimento all’intera classe forense palermitana.

“Sia per le modalità esecutive che per le finalità, come ha anche riconosciuto il gip, possiamo dire che il delitto Fragalà è un omicidio di mafia che doveva costituire un segnale all’intera classe forense. Lo ha detto, in conferenza stampa, il procuratore di Palermo Francesco Lo Voi, commentando gli esiti dell’inchiesta sull’omicidio Fragalà. Secondo quanto ricostruito dalle indagini, condotte dai carabinieri, il penalista avrebbe pagato con la vita l’avere convinto alcuni clienti ad assumere un atteggiamento di apertura nei confronti degli inquirenti. “Cosa – ha spiegato il comandante provinciale dell’arma Antonio Di Stasio – che non era piaciuta alla mafia”.

 

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