Il Presidente della Regione Siciliana, Renato Schifani, ha effettuato un sopralluogo presso l’abitazione di Via Bronte a Palermo, recentemente vandalizzata. L’azione segue l’episodio di grave danneggiamento all’immobile che era stato assegnato a una famiglia in stato di necessità. Il sopralluogo ha avuto lo scopo di affermare la presenza e l’autorità delle istituzioni e di ribadire il principio di legalità in assoluto. Schifani ha ispezionato i danni causati all’interno dell’appartamento.
Durante l’intervento, Schifani ha sottolineato che “Siamo qui per affermare la presenza delle Istituzioni al fianco delle persone del quartiere che indirettamente hanno subito questa forma di violenza. Stanzieremo le somme necessarie per il ripristino dell’appartamento affinché possa, nel più breve tempo possibile, essere assegnato dal Comune di Palermo a chi ne ha legittimamente diritto”. Con il presidente, anche l’assessore alle Infrastrutture, Alessandro Aricò, e il dirigente generale del dipartimento regionale Tecnico, Duilio Alongi.

“Esprimiamo il nostro ringraziamento al presidente della Regione Siciliana, Renato Schifani e all’assessore regionale alle Infrastrutture, Alessandro Aricò per lo stanziamento delle necessarie risorse economiche per la ristrutturazione della casa popolare di via Bronte totalmente vandalizzata ieri da chi la occupava abusivamente e destinata a una famiglia avente diritto e iscritta nella lista dell’Emergenza abitativa”. Lo affermano il sindaco Roberto Lagalla e l’assessore Fabrizio Ferrandelli.
La fragilità della sicurezza e la legalità negli alloggi popolari a Palermo
Da tempo l’amministrazione comunale ha avviato un percorso di assegnazione degli alloggi popolari, cercando di dare risposta a famiglie in emergenza abitativa. Una questione che anni non è stata affrontata con la dovuta attenzione e concretezza e che, con l’assessore Fabrizio Ferrandelli, ha visto un cambio di passo notevole con diversi immobili popolari liberati da occupazioni abusive per assegnarli contestualmente a famiglie iscritte nella lista dell’emergenza abitativa.
A metà ottobre, finalmente, una serie di alloggi viene consegnata in quartieri come Cruillas e Borgo Nuovo, segnando un passo importante per la città, ma al contempo mettendo in luce la fragilità delle assegnazioni in contesti ad alta densità abitativa.
Il 16 ottobre, nel quartiere Cruillas, viene sventato un tentativo di occupazione abusiva di un immobile popolare. L’intervento delle autorità permette di ristabilire l’ordine, restituendo l’alloggio a chi ne aveva diritto, ma l’episodio segna un campanello d’allarme sulla sicurezza degli spazi assegnati.
Pochi giorni dopo, il 22 ottobre, a Borgo Nuovo, l’alloggio popolare di via Bronte, precedentemente occupato abusivamente, viene sgomberato. L’immobile, però, subisce danni significativi con un raid vandalico messo a segno da chi lo occupava abusivamente prima di lasciare l’appartamento.
Poi, ieri la bomba carta esplosa sotto l’abitazione di Fabrizio Ferrandelli, assessore comunale all’Emergenza abitativa. La deflagrazione è stata violenta e decine di persone sono scese in strada per la paura.
E subito dopo l’incendio scoppiato sempre nello stesso appartamento sgomberato di via Bronte.
Tre episodi, avvenuti lo stesso giorno a distanza di poche ore, sui quali le forze dell’ordine indagano per capire se siano collegati tra loro. Ad ora non si esclude che si possa trattare di una intimidazione all’assessore e un messaggio indirizzato all’amministrazione comunale impegnata sul fronte legalità nell’assegnazione degli alloggi popolari per provare a ridurre il problema dell’emergenza abitativa in città.
Tre eventi che mettono in evidenza le difficoltà strutturali nella gestione degli alloggi popolari: da un lato la volontà dell’amministrazione di assicurare case a chi ne ha diritto, dall’altro la realtà concreta dei quartieri, dove gli spazi abitativi possono diventare oggetto di contesa e atti vandalici. La sequenza dei fatti evidenzia come la sicurezza e la legalità negli alloggi non siano mai garantite automaticamente, ma richiedano un controllo costante e una presenza istituzionale attenta.
“Questi gesti non m’intimoriscono. Sono molto sereno e proseguirò nella mia azione. Ho presentato diverse denunce e adesso attendiamo il lavoro degli investigatori. Tutto questo non ci fermerà”, ha dichiarato Fabrizio Ferrandelli.
Atti intimidatori a Ferrandelli: “Fatti che non mi fermeranno” CLICCA PER IL VIDEO
“C’è stato un forte boato intorno alle 23 – ha aggiunto Ferrandelli – tutti i vicini si sono affacciati. Ero dai carabinieri, a Borgo Nuovo. Stavo rassicurando gli abitanti del posto. Mentre ero lì, a un certo punto mi è arrivata una telefonata da parte dei vicini per raccontarmi di quel forte boato davanti casa. Vedremo. Ma di certo la determinazione non viene meno”.
In questo contesto, la dinamica nei quartieri degli alloggi popolari emerge in tutta la sua complessità: l’assegnazione degli alloggi diventa un punto focale che racconta tensioni, fragilità e resilienza, elementi che si intrecciano con la vita quotidiana degli abitanti e con la percezione della legalità in città.
Da via Spinuzza alla bomba carta contro l’assessore Ferrandelli: la violenza che attraversa Palermo
Da tempo, troppo tempo, Palermo è attraversata da una serie di episodi di violenza che compongono un mosaico di tensione crescente, la città sembra scivolare verso un disordine che non è più solo percepito ma tangibile, quotidiano, urbano. Dalla morte di Paolo Taormina in via Spinuzza — il ragazzo ucciso nel cuore della movida — fino alla bomba carta contro l’assessore Fabrizio Ferrandelli, passando per incendi e gli attumi vandali nelle case popolari che vengono assegnate per l’emergenza abitativa e le aggressioni ai danni di cittadini e luoghi, la città mostra il volto di un disagio concreto e una crescente aggressività nel vivere quotidiano della città.

La notte dell’11 ottobre, via Spinuzza diventa teatro di tragedia: Paolo Taormina, ventunenne barman del locale “O Scrusciu”, interviene per sedare una rissa tra giovani. Un gesto di coraggio che gli costa la vita. La via, simbolo della movida palermitana, cambia volto: fiori, candele, un altare improvvisato al posto dei tavolini.
Ieri, la stessa strada è stata ancora teatro di violenza: una nuova rissa coinvolge una ventina di ragazzi, riportando paura e tensione. Palermo sembra intrappolata in un ciclo che non si chiude.
Tra il 22 e 23 ottobre, gli ultimi due episodi scuotono la città l’ incendio che divampa nell’alloggio popolare in via Bronte e la bomba carta esplode sotto la casa dell’assessore Fabrizio Ferrandelli nel quartiere Libertà.
Ferrandelli, impegnato da tempo contro le carrozze abusive e le occupazioni illegali, aveva toccato nervi scoperti. La bomba appare più un messaggio che un gesto vandalico, un avvertimento che scuote la città e la politica locale.
Le istituzioni parlano di “percezione”, ma nelle strade la paura ha nomi, indirizzi e orari. La legalità, sempre più fragile, rischia di diventare un’illusione senza azioni concrete. Ma ci sono fatti e racconti della nostra città tra movida, periferie e tensioni sotterranee, che tracciano un filo rosso che lega le strade colpite al vissuto quotidiano dei cittadini.
La violenza che si fa largo nel quotidiano: ma chi comanda a Palermo?
Il 16 settembre, un autista dell’Amat è stato aggredito e picchiato in piazza Ruggero Settimo, a Palermo, da un automobilista. Il pestaggio è nato perché il mezzo dell’Amat – la linea 812 – ha danneggiato lo specchietto retrovisore dell’auto. A molti può sembrare un caso banale ma non lo é.
E’ l’ultimo di una serie di aggressioni a danni di autisti dell’azienda del trasporto pubblico cittadino. Esattamente la terza aggressione in pochi giorni in quel perioso. “Ormai è un’emergenza giornaliera – aveva denunciato il presidente dell’Amat Giuseppe Mistretta -. Agli assalti e alle sassaiole ora si sono aggiunte le aggressioni da parte degli automobilisti. C’è bisogno di maggior sicurezza e tutela per il lavoro dei nostri autisti”.
É uno dei tanti casi rivelatori di una dinamica che corre nei quartieri: basta un urto o un banale diverbio per far esplodere rabbia e violenza. La tensione si respira ovunque: mercati, mezzi pubblici, locali. È il riflesso di una città che non ha più freni emotivi né regole condivise.
Le Istituzioni cittadine rispondono introducendo le “zone rosse”: Vucciria, via Maqueda, piazza Verdi e via Roma sotto controllo delle forze dell’ordine. L’obiettivo è contenere movida e risse, ma la violenza si sposta: da Ballarò a Borgo Nuovo, fino alle borgate di mare. Le bande giovanili si muovono dalle periferie al centro per imporsi. Non c’è più un’unica criminalità: ce ne sono molte, confuse, slegate, che parlano tutte la stessa lingua: la violenza.
E allora ecco che ritorna la domanda che tanti palermitani oggi dibattono sui social e nelle piazze sulla legalità: ma chi comanda a Palermo?
Una bomba carta è esplosa, le case vengono vandalizzate e bruciate, gli autisti degli autobus e i cittadini vengono assaltati per futili motivi. E mentre i quartieri popolari diventano teatro di piccole guerre quotidiane, dal centro si levano dichiarazioni, piani di sicurezza, promesse.
Dietro ogni episodio – un cavallo senza licenza e la risposta violenta a chi li verbalizza perchè violano l’ordinanza, una violenta aggressione, una casa occupata che subisce un danneggiamento o un incendio notturno – si nasconde una domanda più grande: chi tiene il controllo del territorio?
Così la risposta arriva nel modo più immediato e riconoscibile ovvero con più forze dell’ordine, più controlli, più telecamere. È la grammatica classica della sicurezza in Italia, dove ogni emergenza sociale si traduce in un dispiegamento visibile di uomini e mezzi. È la risposta più rapida, quella che rassicura. Ma anche quella che rischia di confondere la presenza dello Stato con la vicinanza dello Stato.
Ma è davvero questa la strada giusta? In due approfondimenti de ilSicilia.it avevamo trattato la questione da diverse angolature. Una sul tema delle politiche di sicurezza da adottare e sulle criticità possibili. Che la militarizzazione e zone rosse darebbero un’illusione di ordine, ma non guarirebbe la malattia profonda: l’assenza di comunità.
Più sicurezza o solo più sorveglianza? Palermo adesso è militarizzata ma il problema resta
L’altra affronta la questione sociale a Palermo e le radici della crisi cittadina che non sono solo amministrative. Che Palermo non ha bisogno solo di blindati e più pattuglie sul territorio ma ha bisogno forte presenza sul territorio, educazione e progetti di riscatto sociale dall’amministrazione.
Che ci sono cause culturali, educative, morali di lungo corso in un panorama anni in cui la città ha perso la sua narrazione civile.
Percezione o realtà?
“È solo percezione”, si ripete spesso. Ma la percezione, quando è costante, diventa realtà. Le bombe non si percepiscono: esplodono. Gli incendi non si immaginano: si vedono. Le risse non si ascoltano: le si affronta con lo sguardo. Palermo non è più solo la città delle bellezze e dei turisti: è la città che prova ogni giorno a difendere un equilibrio fragile tra legalità e sopravvivenza.
La percezione della violenza tra i cittadini diventa concreta nei discorsi in rete o tra le strade: nei quartieri popolari e non, nei vicoli, nel proprio piccolo mondo quotidiano si respira un clima di allerta che condiziona ogni gesto. Le persone camminano attente, i ragazzi osservano le strade con cautela, e ogni piccolo segnale – un vetro rotto, un fuoco acceso, un gruppo che si raccoglie – diventa indizio tangibile di un ordine che vacilla.
Da Borgo Nuovo a via Spinuzza, da corso Calatafimi al Foro Italico, Palermo è attraversata da un filo invisibile che unisce rabbia e silenzio. E oggi Palermo sembra pericolosamente divisa in due.
C’è chi uccide, chi brucia, chi protesta violentemente, chi danneggia e chi inneggia modelli sbagliati e pericolosi. E sfida le Istituzioni e porta tensione e preoccupazione tra i cittadini. E in mezzo, una città intera che non vuole arrendersi, che resiste, si indigna, scende in piazza e si organizza collettivamente per scuotere le coscienze.
Perché Palermo, nonostante tutto, continua a vivere e vuole vivere in sicurezza. Ma lo fa come chi cammina su un pavimento incrinato, sapendo che a ogni passo potrebbe aprirsi il vuoto.