Il Sicilia.it è stato l’unico giornale che, ha cercato di richiamare l’attenzione sulle conseguenze negative per la Sicilia e le altre Regioni del Sud insite nel referendum consultivo promosso dalla Lombardia e dal Veneto per richiedere allo Stato nuovi poteri e maggiore autonomia.
La denuncia cadde nel vuoto, anche perché si avvicinavano le elezioni regionali del novembre 2017 e i partiti erano più propensi a occuparsi di altro.
Spiegammo allora come questo referendum avrebbe ridato fiato alle spinte centrifughe e che era dettato dall’esigenza delle regioni più ricche del paese di agganciare il treno della ripresa che anche in Europa, seppur ancora timidamente, si registrava.
Per raggiungere questo risultato era necessario un graduale sganciamento dall’unità nazionale e trattenere maggiori risorse nelle regioni più avanzate economicamente che, a loro giudizio, erano sottratte dal potere centrale che li dirottava verso il Sud, foraggiando mafia, clientele e corruzione.
Per inserirsi nella ripresa e reggere la competizione globale era necessario attrezzarsi attraverso istituzioni efficienti, un’imprenditoria dinamica e territori più attrattivi per fiscalità e procedure, che solo le regioni del Nord sono in grado di offrire.
Tutte condizioni di cui il Sud non dispone e che, al contrario, per queste Regioni rappresenta una palla al piede, un freno, per i costi sociali in termini di solidarietà ed equiparazione al resto del paese. Inoltre sono aree meno attrezzate in termini d’infrastrutture, disponibilità finanziarie, solidità del sistema istituzionale e imprenditoriale, non in grado perfino di spendere le notevoli risorse finanziarie che l’Europa mette a disposizione.
L’unica prospettiva per il Sud è di rimanere un’area di consumo e di assistenza attraverso l’invio di una quota di spesa pubblica da sottrarre allo sviluppo. A questo serve, infatti, il reddito di cittadinanza. Non importa chi ne usufruirà realmente, l’importante che la gente spenda un po’ di più sulle produzioni del nord, in cambio le risorse umane più qualificate che il Sud riesce a formare potranno spostarsi al nord dove troveranno opportunità di lavoro. In quest’ottica Salvini ha condiviso il provvedimento del reddito di cittadinanza propugnato dai Cinque Stelle.
Questa prospettiva che condannerà il Sud e la Sicilia a un’ulteriore emarginazione si sta trasformando in realtà dal momento che sono in preparazione preparando i decreti in attuazione del risultato di quel referendum, ovviamente dall’esito scontato.
Contro questo disegno si sono levate solo poche voci dalle regioni meridionali, compresa la Sicilia, con l’eccezione del PD siciliano che ha perfino fatto appello a un’opposizione trasversale contro questi decreti.
La proposta tuttavia sembra non abbia riscosso alcun riscontro.
Su una questione cosi rilevante, in effetti, sarebbe necessaria una posizione del governo regionale, una valutazione delle forze politiche, un’iniziativa del presidente dell’Assemblea regionale, Gianfranco Miccichè, perché si svolga un dibattito parlamentare con l’intento di pervenire a una posizione unitaria delle forze che ancora, nonostante tutto, considerano l’Autonomia un valore e un’opportunità. Non a caso il presidente della Lombardia Fontana chiede di adottare lo stesso modello per la sua regione.
La posizione del PD siciliano presenta tuttavia, a nostro avviso, alcuni limiti.
In primo luogo è una posizione isolata all’interno del partito che nazionalmente nel merito non ha assunto alcuna posizione, né si sono pronunciati i tre candidati alle primarie per la segreteria nazionale.
Molte parti importanti di questo partito, al contrario, hanno condiviso quel referendum e quel risultato al punto che il presidente dell’Emilia Romagna, Stefano Bonaccini, ha perfino fatto un accorato appello a Salvini affinché siano approvati al più presto i decreti attuativi.
L’Emilia Romagna, infatti, è una dei capifila di questo progetto e non partecipò al referendum solo perché scelse di chiedere le stesse cose attraverso l’applicazione di una norma costituzionale introdotta nel 2001.
In secondo luogo limitarsi alla protesta rischia di essere sterile e inconcludente perché non si accompagna a una proposta di riforma generale dello Stato che partendo dalla Sicilia rifondi l’Autonomia, cambi la Regione, nel quadro di un progetto federalista dello Stato che spinga in tal senso anche ’Europa.
Solo una riforma della Costituzione in senso federalista può consentire, infatti, di superare lo storico dualismo tra nord e sud nel quadro di una nuova unità nazionale la cui disarticolazione non è minacciata ma è già in atto, e che solo il federalismo può impedire e riavvicinare i cittadini alle istituzioni.