Annalisa Ciprì nell’edizione di ieri dava la notizia di un nuovo record conseguito della presidente del consiglio Giorgia Meloni: il suo governo ha tagliato il traguardo della maggiore longevità, superando tutti i governi precedenti con l’eccezione dell’ancora imbattuto governo di Silvio Berlusconi.
La notizia è naturalmente motivo di soddisfazione da parte del centro destra, e della stessa presidente, che ascrivono questo successo all’azione di governo e ai risultati conseguiti. Mentre dalla sponda opposta, nel centrosinistra, non mancheranno le critiche e le insufficienze del governo nell’affrontare le grandi questioni, economiche, sociali e istituzionali che travagliano la vita del paese.
Al di là delle differenti valutazioni degli schieramenti politici, tuttavia, un dato oggettivo emerge come frutto positivo di questa longevità. E’ la “stabilità politica” di cui il paese oggi più che mai ha bisogno, di fronte ai mutamenti di natura internazionale, con un mondo in fiamme stretto tra guerre e pericoli di recessione e ripresa dell’inflazione dovuta all’aggressività della politica americana di Donald Trump, a cominciare dalla questione dazi, e non solo quella. Si aggiungono le ricadute sui paesi europei e in particolare sull’economia fragile come quella italiana, che lentamente si stava riprendendo dalle difficoltà economiche e imprenditoriali che pesavano sul sistema economico e imprenditoriale.
Nel Paese si è aperta una nuova questione sociale con un accrescimento delle distanze sociali, l’aumento delle aree di marginalità e la distribuzione della ricchezza prodotta, che riguarda sempre più pochi gruppi e sempre meno il ceto medio e le persone più deboli.
Una crisi di governo è l’ultima cosa di cui il paese ha bisogno, mentre la stabilità politica consentirà alle forze del centro destra di mostrare la propria capacità di governo, di liberarsi da orpelli e scivolate demagogiche. Il centro sinistra ha l’opportunità di lavorare ad una propria piattaforma programmatica su cui proporsi come alternativa credibile alla destra.
Vi è poi una grande questione di natura istituzionale, sulle questioni sociali è naturale che si verifichino posizioni diverse e a volte inconciliabili, su questa questione, invece, è possibile costruire un’intesa positiva tra i due schieramenti.
Parliamo del crescente distacco tra i cittadini e le istituzioni che si manifesta nel non voto che ormai supera il numero dei votanti. Si potrebbe cominciare nel restituire ai cittadini il diritto di scegliere e decidere chi deve rappresentarli nel parlamento e nel paese, e al tempo stesso rilanciare la centralità del parlamento, non più luogo sterile che si limita a ratificare decreti legge. Ma riappropriarsi così della capacità autonoma con cui le forze della maggioranza e quelle dell’opposizione possano portare aventi idee e progetti, confrontarsi tra di loro e arrivare quando è possibile a scelte condivise nell’interesse del Paese.
Non esiste alcuna democrazia al mondo in cui gli elettori non possano scegliere chi deve rappresentarli, una situazione che ha fatto sì che la democrazia si sia trasformata in un’oligarchia in cui i partiti attraverso la nomina e la cooptazione premiano non la competenza e l’impegno ma la fedeltà all’appartenenza del leader o del capo corrente.
In tutti i sistemi sia presidenziali che parlamentari o con il sistema maggioritario o proporzionale, sono i cittadini a scegliere i propri rappresentanti. Superare questa anomalia rappresenterà un passo importante per fare riacquistare fiducia dei cittadini nella politica e nelle istituzioni.
Non siamo tra quelli che scioccamente gridano che c’è il fascismo alle porte, ma il pericolo di uno restringimento degli spazi di partecipazione democratica dei cittadini è reale. Ecco un terreno su cui si può costruire un’intesa nell’interesse dei cittadini e della democrazia, e la longevità del governo sia utile per tutti.