Il venticinquesimo anniversario della strage di Via D’Amelio è, come ogni anno, occasione per passerelle più o meno ipocrite, ma anche momento di riflessione sul fenomeno mafioso.
Orde di politici sfileranno in via D’Amelio, ricordandosi di Palermo per un giorno, giusto il tempo per farsi immortalare davanti alla lapide in ricordo di Paolo Borsellino e dei cinque agenti di scorta, Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina.
Ci sta. E’ nell’ordine delle cose. Accade da 25 anni per il ricordo della strage di Capaci e anche per quello dell’eccidio di via D’Amelio. Non è questo il punto.
Oltre ai politici, infatti, ci sono i cittadini, sia quelli che spontaneamente ogni anno vogliono far sentire la propria presenza, sia quelli organizzati nelle varie associazioni che promuovono iniziative nel giorno della strage, presidi, concerti, dibattiti e fiaccolate. L’Italia riparte anche da questi cittadini, che da 25 anni sono fermamente convinti che il fenomeno mafioso si possa e si debba sconfiggere.
Con le parole, anche. Con le celebrazioni, anche. Con la diffusione della cultura, anche.
Ma anche e soprattutto – e questa è la grande sfida – attraverso politiche che creino le condizioni per restare a vivere in Sicilia dignitosamente, che diano la possibilità ai giovani di credere in un lavoro qui, a casa loro, senza esser costretti a emigrare altrove per portare a casa un pezzo di pane, o peggio, doversi gettare nelle braccia della criminalità mafiosa, come ancora avviene in grossi centri come Palermo o Catania.
La mafia si combatte con strumenti che vanno pensati a monte. Sì, è una sfida rispetto alla quale gli amministratori di Palermo e della Sicilia non possono e non debbono abbassare la guardia.
E intanto, un modo, forse il migliore, di onorare Paolo Borsellino e gli agenti della sua scorta, è quello dato stamattina dalle forze dell’ordine: polizia e guardia di finanza hanno arrestato 34 mafiosi del clan di Brancaccio. I carabinieri, contemporaneamente, hanno sequestrato beni per un milione e mezzo di euro a Totò Riina. Gesti concreti, veri, autentici, che ci ricordano che la mafia esiste, che c’è chi la combatte ogni giorno senza clamore (come magistrati e forze dell’ordine) e che la guerra a Cosa nostra è tutt’altro che conclusa.
Oggi alle lacrime possiamo associare l’orgoglio e la certezza di una terra che non torna indietro.