Il 19 luglio del 1992 quel boato che ha cambiato per sempre le nostre vite. Era una domenica pomeriggio e il sole era ancora alto. Una domenica come tante di luglio. Ricordo la scia di sirene e ambulanze che, appena ventenne, seguii a piedi come fossi un robot, per tentare di capire dove portasse quel fiume impazzito. Camminando meccanicamente mi ritrovai in un altro mondo.
In via Mariano D’Amelio c’era fumo e c’era fuoco. C’era tanta gente e non c’erano barriere.
Ricordo ancora i volti delle persone. Moltissimi fra poliziotti, carabinieri, finanzieri, medici, pompieri. Correvano tutti di qua e di là, ma pareva che nessuno sapesse cosa fare.
Guardai quelle scene con gli occhi di chi aveva appena cominciato la propria avventura nel mondo del giornalismo. Proprio due giorni prima avevo iniziato a collaborare con “La Sicilia“, ma era ancora troppo presto per il mio primo articolo. Sarebbe passato ancora qualche giorno, ma quel boato sordo che sfregiò quella domenica e la vita di tutti noi, risuonò come una chiamata alle armi: era giunto il tempo di cominciare a essere padroni del nostro destino, vivere la nostra storia e cambiare il suo corso, ciascuno con il proprio ruolo, ciascuno con la propria sensibilità e con il proprio “karma”. Ciascuno a modo proprio, ma tutti uniti da un filo invisibile che ci fece crescere improvvisamente e segnò per sempre le nostre vite.
Tanti particolari di quella domenica di luglio restarono impressi nei miei occhi, ma soprattutto quello che non potrò mai dimenticare erano la confusione e lo smarrimento. In via D’Amelio accorsero tutti, ma proprio tutti. Ed è per questo che non si può oggi ignorare il grido di verità e giustizia di Fiammetta Borsellino.
La verità è un diritto che pretendiamo, in onore di Paolo Borsellino e dei cinque agenti di scorta, Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina. In onore di tutti i nostri caduti.
E la pretendiamo oggi più che mai, specie dopo che i giudici hanno acclarato che ci furono depistaggi e tradimenti da parte di uomini dello Stato, che avrebbero dovuto scoprire chi e perché volle quell’eccidio, ma che invece, per oscuri fini, hanno cercato di allontanare le responsabilità dai veri colpevoli. Già a partire dai momenti confusi e concitati di quella domenica pomeriggio, infatti, ci fu qualcuno che depistò. E avrebbe continuato a farlo negli anni successivi. Fu una strategia del depistaggio, ordita non da cani sciolti, ma in modo consapevole e organizzato.
Oggi in via D’Amelio e in altre piazze di Palermo sfileranno politici e autorità varie. Ci sarà molta retorica, ci saranno lacrime e ci sarà tanta malafede, mista a tanta buona fede. Ci sta.
Le passerelle sono inevitabili, ma al di là di queste c’è la gente comune, che odia la mafia e ogni forma di sopruso e che ha diritto di poter dire a chi verrà dopo di noi che la criminalità mafiosa è un pezzo di storia con cui Palermo e l’Italia hanno finalmente chiuso i conti. Nel migliore e unico modo possibile: vincendo questa guerra.
Ai politici diciamo quel che ripetiamo da tempo. Fatevi pure le vostre passerelle, ma ricordate che l’unico modo che avete per riscattare voi stessi è creare le condizioni affinché le generazioni del futuro possano vivere in Sicilia dignitosamente. Della vostra retorica non ce ne facciamo niente se non è seguita da politiche e atti concreti, che diano la possibilità a tutti di vivere qui e di non fuggire via.
A morte la mafia e tutti i loro servitori!
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