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Intervista a Roberta Denti, giornalista e scrittrice

domenica 26 Agosto 2018
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Nella foto, Roberta Denti

Ciao Roberta, benvenuta e grazie per la tua disponibilità. Se volessi presentarti ai nostri lettori cosa diresti di te nelle tue molteplici identità professionali e di traduttrice?

In primis, grazie a te per questa inaspettata intervista d’agosto e ai lettori che vorranno seguirla. La prima cosa da sapere di me è che sono una sagoma e da quando sono nata sono sempre stata una monella. Sempre attiva e sempre a cacciarmi nei guai, ero un incubo per la mia famiglia. Fino a quando non scoprirono che bastava dare un libro alla bestiaccia perché si placasse.

I libri quindi fin dalla tenera età mi hanno aiutato a controllare la mia proverbiale energia e nutrire la mia insaziabile curiosità. La mia professionalità si dipana interamente sulle lingue, italiano, inglese e spagnolo. Ossia leggo, traduco e scrivo da sempre. Ho studiato prima alla Scuola Interpreti e quindi ho conseguito una laurea, summa cum laude – scrivilo per la mia mamma che ci tiene tanto – in lingue e letterature straniere. Insomma, di base a me piace parlare e poterlo fare con più persone mi ha visto “costretta” a studiare più lingue. Inoltre, chi conosce più lingue, conosce più mondi.

Hai lavorato scritto con uno pseudonimo, per le più importanti riviste di costume quali “Rolling Stone”, “Men’s Health”, ” Playboy” e altre ancora. Ci racconti questa tua esperienza e cosa ti ha insegnato questo lavoro che hai fatto girando tantissimo per il mondo?

Va detto che oggigiorno sono finiti i bei tempi della “casta giornalistica” dove i professionisti erano pagati a peso d’oro e stipendiati per girarsi il mondo. La musica è decisamente diversa oggi e i costi dei miei viaggi me li sono roberta-dentisempre accollata io. Di certo viaggiare, e leggere tanto, mi ha permesso di sviluppare e ampliare la mia curiosità così da rendermi elastica su diversi argomenti.

Io di base ho sempre scritto di Sex Drugs & Rocknroll, avendo iniziato la mia carriera con il primo numero di Rolling Stone in Italia dove oltre alle traduzioni curavo la rubrica dedicata al folle e decadente mondo delle groupie delle rockstar. Le mie doti, irriverenza e malizia, quindi sono passate alla redazione di Men’s Health dove mi divertivo a dare consigli sessuali ai maschietti per poi approdare alla Mecca di qualsiasi sex-blogger: Playboy.

Lì per due anni ho tenuto una rubrica dallo smaliziato titolo La Mia Vita Orizzontale dove ho potuto scrivere senza alcuna censura le mie sexcapades, ovvero le mia scappatelle di letto. Ho anche tenuto la rubrica Sesso Senza Tabù per la rivista Starbene di Mondadori che però essendo rivolta a lettrici mi veniva puntualmente censurata.

Il tuo Blog è veramente molto interessante, vivace, dinamico, e per certi versi atipico. Forte, diretto, senza mezze misure e per questo cattura molto i tuoi lettori e vedo che hai tantissimi follower. Come nasce questo tuo progetto editoriale, se vogliamo utilizzare questo termine, e cosa ci dici dell’evoluzione che ha avuto negli anni?

Il blog sarebbe dovuto nascere ben prima del 2015 e invece da procrastinatrice cronica ho atteso troppo e ho finito per sbarcare sul web in piena esplosione di blog. È stato pertanto un percorso più complicato distinguersi nella roberta-dentimassa. Il primo nome del blog, Robbie Does Blogging, è stato mutuato da un film porno americano degli anni Settanta (decade di mia preferenza) dal titolo Debbie Does Dallas, la storia di una vivace cheerleader che a ogni sventolata di “pompon” (adoro la cacofonia di questo termine) manda in visibilio, e non solo, la squadra.

Essendo di base un sex-blog trovavo divertente l’assonanza ma ahimè in pochissimi la coglievano e sapevano ricordarsi il nome, allora sei mesi fa con il mio magnifico staff di web geek abbiamo pensato di cambiarlo in fallifelici.com, titolo che gioca su due punti chiavi della mia scrittura/personalità: far ridere e far godere. Con un esilarante doppio senso. Ritengo che saper scrivere consenta di spaziare e affrontare qualsiasi argomento, con garbo e ironia.

Dai miei scritti è assolutamente bandita la volgarità, anche quando tratto argomenti forti. Ti faccio un esempio: per Playboy mi commissionarono un pezzo sul sesso anale. Il titolo che scelsi fu Analchia. Divertente e irriverente, questo è il mio registro. So bene di risultare forte e schietta, non mi maschero e i miei scritti sono tutti veri e personali. Rifuggo e rigetto l’ipocrisia e non faccio sconti al perbenismo altrui. Insomma, o mi ami o mi odi. Detesto le sfumature. Soprattutto quelle di una certa trilogia … Comunque il blog, tutto farina del mio sacco con la concessione di articoli altrui da me tradotti e di cui cito sempre la fonte, partito in sordina tre anni fa ad oggi è arrivato a contare un pubblico di diecimila lettori. Detesto la parola follower, anzi io preferirei di gran lunga chiamarli FALLOwer! Sono fiera di essermeli conquistati con le parole e di non averne comprato manco mezzo.

Come definiresti il tuo stile letterario? C’è qualche scrittore, italiano o straniero, al quale ti ispiri?

La mia prima fonte d’ispirazione letteraria è la scrittrice franco-americana Anais Nin, nata nei primi anni del Novecento, penna compulsiva dell’erotismo. A lei dedicai la mia tesi di laurea, in particolare al suo Diario che narra la sua frenetica esistenza in giro per il mondo e per diversi amanti. Uno dei libri per cui la Nin è più famosa è il libro erotico “Il Delta di Venere” che lei scrisse a Parigi negli anni Venti durante la sua liason con il giovane scrittore in erba, Henry Miller.

roberta-dentiAi tempi, infatti, non esisteva la pornografia come la intendiamo oggi e sfacciati committenti pagavano un dollaro a pagina agli aspiranti scrittori per scrivere racconti erotici. Care ragazze, ascoltate il mio consiglio: meglio un racconto di Anais Nin dell’intera trilogia delle Sfumature.

Altri miei mostri sacri della letteratura sono: Philip Roth, Paul Auster, Bret Easton Ellis e Jay McInerney, Henry David Thoureau, Jack Keorouac, David Foster Wallace.

Ma in realtà sono molti di più. Leggo in maniera compulsiva, anche se ho una predilezione per la letteratura angloamericana che amo leggere in lingua originale.

Quali sono secondo te le caratteristiche, le qualità, il talento, che deve possedere chi scrive per essere definito un vero scrittore? E perché proprio quelle?

Deve amare leggere. Lo so che sembra un’assoluta banalità ma di questi tempi invece non lo è. L’Italia è un Paese di scrittori con un tasso bassissimo di lettori. Ho personalmente conosciuto persone che avevano pubblicato un libro, cosa che a mio parere non fa automaticamente di te uno scrittore, che si vantavano di non leggere.

Ecco per me questa è un’assurdità. Il talento si coltiva se lo si ha. E credo anche in una ferrea disciplina quando si tratta di scrivere. L’idea romantica e romanzata dello scrittore che si mette alla macchina da scrivere in preda all’ispirazione e sforna un capolavoro in tre settimane è una chimera. Scrivere è un lavoro duro, inesorabile, capace di assorbirti completamente.

Poi, certo dipende da cosa uno vuole scrivere. Esiste letteratura di serie A e letteratura di serie B. Io leggo letteratura di serie A e non mi vergogno a definire la mia scrittura letteratura di serie B. Almeno ho l’umiltà e l’intelligenza di riconoscerlo, perché non dimentichiamoci che sono e rimango in primis una lettrice.

Qual è il ruolo del critico letterario secondo te? E perché è importante per uno scrittore il suo giudizio, la sua opinione artistico-letteraria?

Non seguo molto la critica letteraria e a parte rare eccezioni, mi sembra che nel nostro Paese ci sia un eccesso di premi autoreferenziali. Alla fine abbiamo un manipolo di scrittori famosi che gira e rigira sono sempre loro a essere premiati/criticati/pubblicati. La mia non è invidia ma solo constatazione dei fatti. Io credo nell’impegno nel proprio lavoro. Il lavoro del critico è importante ma dev’essere indipendente e libero.

Gino de Dominicis, grandissimo genio artistico del secolo scorso, dei critici diceva «…che hanno dei complessi di inferiorità rispetto agli artisti. Sono sempre invidiosi. È una cosa che è sempre successa. C’è poco da fare.» Intervista a Canale 5 del 1994-95. Tu cosa ne pensi?

Mi viene in mente la battuta d’apertura del film “Io e Annie” di Woody Allen dove Alvy Singer, il protagonista, parlando degli insegnanti dice “Ricordo il corpo insegnante della mia scuola pubblica. Sapete, avevamo un detto: chi non sa far niente insegna e chi non sa insegnare insegna ginnastica.” Ecco si potrebbe dire lo stesso di alcuni critici.

Io sono afflitta da molteplici difetti ma sono altresì fiera di dire che mi manca l’invidia, un sentimento che ti logora dentro e da cui non riesci a liberarti. Sono convinta che ci siano parecchi critici invidiosi e d’invidia nel mio piccolo ne ho subita tanta, non tanto per i miei successi che sono piccoli e sparuti ma per la mia joie de vivre, per il modo solare e allegro con cui affronto la vita e che cozza con chi invece vive la propria esistenza logorandosi e augurandosi il peggio per gli altri. Io non lo faccio e ti assicuro che non solo vivo meglio io ma anche le persone che mi stanno accanto.

Roberta, sai bene che oggi definire l’arte è veramente difficile. Non ci sono più dei canoni standardizzati come avveniva nelle scuole del passato che hanno fatto dell’Italia il Paese dell’arte. Secondo te, quali sono le caratteristiche che deve possedere un “oggetto” creato dall’uomo per essere definito opera d’arte? Dove per “oggetto” intendiamo un dipinto, una scultura, uno scritto, un film, insomma, tutto quello che si pretende di definire arte…

Partendo dal presupposto che non sono un’esperta d’arte, non avendo fatto studi specifici in merito, io amo definirmi un’amante dell’arte. Durante l’anno sono spesso a Venezia dove non mi perdo una mostra, soprattutto di arte contemporanea una delle mie preferite. Quindi la mia è una risposta “amatoriale”: credo che un’opera perché abbia un valore debba trasmettere un’emozione forte.

Che sia un’opera scritta, visiva, artistica, cinematografica. Qualcosa che rimanga dentro e non sia spazzata via dalle miriadi di informazioni insulse e superflue che intasano la nostra mente e la nostra anima. Come un bellissimo libro che si legge piano per paura che finisca troppo presto. Ecco un’opera d’arte deve darmi il desiderio di trattenerla dentro.

Come è nata la tua passione per lo scrivere, e qual è il tuo proposito, il tuo scopo nello scrivere i tuoi racconti?

La passione per la scrittura, mi ripeterò, è nata dalla passione per la lettura. Il mio divorare i libri mi ha spinto sin da piccola a tenere un diario, a eccellere in italiano e a propormi come lettrice per le case editrici finito il liceo. Continuo ancora oggi a lavorare come traduttrice, quel ponte letterario che permette alla letteratura di essere fruibile ai più.

Con l’avvento dei social media mi sono accorta di quanto la gente rispondesse alla mia scrittura e le collaborazioni con le riviste hanno fatto il resto. Il mio scopo primario è sollecitare e stuzzicare le menti, fare tabula rasa dei pregiudizi e dei tabù ahimè ancora imperanti nel campo del sesso nel nostro Paese. Con una scrittura lieve ma non superficiale, vivace ma non sciocca, allegra ma non fatua.

Perché secondo te oggi è importante scrivere, raccontare con la scrittura?

La scrittura, le parole, i racconti, le notizie fanno parte del tessuto umano e sociale. Cambiano e cambieranno ancora le modalità di divulgazione delle medesime ma il potere della parola scritta non si estinguerà mai. Oggi è un mondo visual. Basta guardare, appunto non leggere, qualsiasi social media e vedrai che ormai 8 post su 10 sono fatti di video. Perdere la passione per la lettura e per l’approfondimento è un danno cerebrale notevole. Io credo, e mi auguro, che come in tutti i cicli storici si ritorni a dare valore alla scrittura.

Cosa consiglieresti ad un giovane che volesse cimentarsi come scrittore, narratore, giornalista? Quali i tre consigli più importanti che daresti?

Primo: fatti le ossa leggendo. Di tutto e possibilmente in più lingue. Ricerca le notizie, le storie, i racconti. Non aspettare che compaiano sul tuo desktop. Secondo: studia. Che sia università, scuola di giornalismo/scrittura, le basi tecniche servono sempre e a prescindere. Il mito romanzato del genio autodidatta è appunto un mito e per pochi oltretutto. Terzo: trovati un lavoro che ti paghi, oltre la passione per la scrittura. Perché purtroppo al giorno d’oggi sperare di campare con la professione di scrittore/giornalista è una mera chimera.

Quali sono i tuoi prossimi progetti e i tuoi prossimi appuntamenti? A cosa stai lavorando? Dove potranno seguirti i tuoi lettori e i tuoi fan?

Al momento ho in ballo un interessante progetto editoriale/televisivo con un gruppo di bravissime, e famose, scrittrici/blogger che vantano un seguito ben più importante del mio. Si tratta di un progetto al femminile nel quale credo molto e che spero risulti illuminante. Prima di quest’importante e intrigante progetto me ne andrò come da mio rituale ormai ventennale a New York, dove abitai e studiai negli anni Novanta, per trovare gli amici e farmi stimolare dalle mille luci della città e dalle miriadi di opportunità culturali e artistiche che solo la Grande Mela è in grado di offrire.

Un’ultima domanda Roberta. Immaginiamo che tu sia stata inviata in una scuola media superiore a tenere una conferenza sulla scrittura e sulla narrativa in generale, alla quale partecipano tutti gli alunni di quella scuola. Lo scopo è quello di interessare questi adolescenti all’arte dello scrivere e alla lettura. Cosa diresti loro per appassionarli a quest’arte e catturare la loro attenzione? E quali le tre cose più importanti che secondo te andrebbero dette ai ragazzi?

Direi loro che con le parole possono portarsi a letto chi vogliono. Quando insegnavo inglese ai ragazzi del liceo, se avessi detto loro di studiare per sapere a memoria l’opera omnia di Shakespeare mi avrebbero riso in faccia. Invece, stuzzicandoli a imparare l’inglese per fare strage di straniere in vacanza li stimolava quel che basta perché s’impegnassero.

Scherzi a parte, direi loro che studiare, leggere rende liberi, consapevoli e capaci di scegliersi un futuro e non di subirlo. Di non sottovalutare mai il potere inebriante della parola scritta e di credere sempre nella cultura che non dev’essere per forza stantia e dogmatica (il cancro della didattica italiana) ma può essere esaltante e coinvolgente. Inoltre, io sono una sapio-sessuale, ossia chi è sessualmente inebriato dall’intelligenza. E ce ne sono tanti come me in giro nella massa amorfa e “ascema” che inonda le bacheche della nostra vita digitale.

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