Noi siamo sopravvissuti alla nostra adolescenza. Lo penso con la serenità di chi sta raggiungendo i suoi quaranta anni e si ostina a non considerarsi ancora matura. Siamo rimasti vivi nonostante la musica degli anni ’90 che nel migliore dei casi vedeva gruppetti di donne e uomini dimenarsi con ritmi sempre uguali, come ad esempio le discoteche di “Non è la Rai” in cui coetanee “semi gnude” ballavano davanti ad una telecamera, tutte uguali. Con le loro minigonne a righe e le francesine strette alle ginocchia. Belle erano belle, nonostante la scuola fosse solo un lontano miraggio.
Eppure, io che il latino ero costretta a studiarlo, provavo una sana invidia. Chissà cosa provavano a sguazzare ogni giorno in piscina e a giocare al gioco della seduzione.
E le sere estive di nascosto, noi andavamo in luoghi che somigliavano alle discoteche, per ballare un po’ o forse per sentirci uguali agli altri. Ringrazio mia madre per la severità dei suoi orari. Che a pensarci con gli occhi dell’oggi rischiavamo la pelle, ma come fai a spiegarlo quando l’adolescenza scorre a fiumi e non ti lascia dormire per anni? Non puoi, puoi solo sperare che passi al più presto.
Siamo sopravvissuti nonostante tutto lo schifo del riflusso che ci ha impedito la comprensione del passato e del futuro. E nel migliore dei casi abbiamo fatto politica, cercando d’essere diversi. Abbiamo fallito anche noi e come noi le generazioni che ci hanno preceduto. Forse un po’ meno, ma il risultato non cambia. Nel tentativo di giustificare noi stessi abbiamo sentito il bisogno di demonizzare gli altri, questo tempo che ci sfugge, questi giovani coi pantaloni strani, i capelli tagliati male, la musica a cazzo nelle orecchie, i social dell’immagine, i like, il pressappochismo.
Ecco perché non mi sento di demonizzare nessuno. Siamo stati noi a partorirli e lo abbiamo fatto dalla pancia dei nostri errori. Tutti siamo stati alieni che si aggiravano per casa in attesa di essere compresi da mamma e papà.
La sbandata epocale della nuova generazione ha radici lontane, come la nostra incomprensione va rintracciata nella fase più complicata della nostra crescita precaria.
Noi non siamo morti, in un tempo non lontano da questo gli spray al peperoncino non esistevano, ma i cretini ci sono sempre stati, nella vita, nella poesia come nella musica. E le tragedie si sa impongono sempre una riflessione che fa male.
E non mi ergerò dal pulpito del mio perbenismo per dire che noi eravamo migliori. Noi siamo stati figli del nostro tempo, ho visto amici morire di eroina, altri fottersi il cervello con robe chimiche e non tornare più a vivere nel mondo della routine. Non siamo stati migliori. Siamo stati semplicemente noi.
Ed ora alla scuola spetta un compito arduo, ma da sola non può farcela. Agli adulti, alla politica quella saggezza dell’ascolto che sa rendersi umile e percorrere le strade della totale comprensione. Alle famiglie la calma dell’attesa, perché l’adolescenza passa solo se la faremo passare.
E un giorno anche i nostri figli si sentiranno fortunati per essere sopravvissuti all’inquietudine, un giorno anche noi adulti-giovani ci sentiremo fortunati per avercela fatta, nonostante tutto e nonostante tutti.