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Al centro l’ammucchiata per il referendum tra occhiolini e ammiccamenti. I “vecchi” si riposizionano

domenica 4 Dicembre 2016

Alla chiusura di Renzi a Palermo c’erano tutti. In prima fila. La classe dirigente del Pd era completo: da Fausto Raciti a Giuseppe Lupo, da Antonello Cracolici a Davide Faraone, dagli ex articolo 4 Paolo Ruggirello e Luca Sammartino ai democratici di terzo pelo saliti sul carro dopo avere navigato in altre acque, quelle del Mpa e quelle di Forza Italia. C’era tutti, proprio tutti nel teatro scelto dal premier per incitare la caccia all’ultimo voto. C’erano proprio tutti, tranne qualche sparuto esponente dem schierato per il ‘no’, ma che in questa lunga campagna referendaria comunque è rimasto nelle retrovie senza apparire troppo, come Mariella Maggio, anima della corrente minoritaria di Roberto Speranza, o quel che è rimasto dei bersaniani, tipo Angelo Capodicasa ad Agrigento o Pippo Zappulla a Siracusa. Il resto del partito era al gran completo. Chi per convinzione per il “sì”, chi per opportunismo politico. Perché l’esito, qualunque sia, segnerà uno spartiacque all’interno dei dem che più che al referendum guardano alle prossime amministrative di primavera, a partire dal voto di Palermo, e soprattutto alle regionali del prossimo autunno. Renzi vincerà o perderà rimarrà il leader del partito. Saranno lui e suoi a fare le liste elettorali.

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Al Politeama c’erano persino il senatore Beppe Lumia (in foto in alto) e il governatore Rosario Crocetta, anche loro schierati per il “sì” ma certamente poco allineati ai “renziani” di Sicilia. E poi c’erano gli altri, quelli che stanno un gradino dietro ma che a ora di voti contano eccome. Tipo, Totò Cardinale. Il ras di “Sicilia Futura”, stampella di ferro del renziano Faraone. L’ex ministro alle Telecomunicazioni, ‘padre’ dei call center, sta giocando la sua partita a scacchi all’interno della coalizione. L’obiettivo è prendere in mano il “grande centro”. S’è mosso bene Cardinale in questi mesi, i suoi sparpagliati in giro per la Sicilia hanno sposato la linea del premier Renzi fin dall’inizio e più di altri. Si sono spesi per il “sì” e sono certi, comunque vada, di aver acquisito la fiducia del leader. Da un pezzo Cardinale flirta con un altro protagonista di questa campagna referendaria: Gianpiero D’Alia (in foto in basso). I due si scrutano, si annusano. Puntano dritto al centro, che considerano fondamentale per intercettare parte di quei due milioni e mezzo di siciliani che alle ultime regionali non hanno votato, oltre il 50%. D’Alia ci crede a tal punto che ha sacrificato l’Udc, lasciandola nelle mani di Lorenzo Cesa e facendola implodere. Con Casini, D’Alia sta andando dritto come un treno, portandosi dietro quasi l’intera classe dirigente dello scudocrociato, che ha seguito i due leader nella diaspora.

dalia_0“Centristi per la Sicilia” è il marchio lanciato dal duo Casini-D’Alia. Loro al Politeama non c’erano, hanno optato per la chiusura in solitaria della battaglia per il “sì” un modo per mostrare i muscoli all’interno della coalizione di centrosinistra. Fallito il progetto di Alleanza popolare con Ncd, D’Alia e i suoi fedelissimi, così come ha fatto Totò Cardinale nella sua area di consenso che è Caltanissetta, non si sono risparmiati, concentrando gli sforzi nel territorio di Messina, bacino elettorale dell’ex presidente Udc e di Giovanni Ardizzone che i rumors di Palazzo danno come possibile candidato a sindaco proprio nella città dello Stretto, con l’appoggio della coalizione. Il risultato del referendum anche per i “centristi”, così come per il Pd, segnerà uno spartiacque. A spuntarla sarà chi dimostrerà al premier Renzi di averla avuta vinta sul proprio territorio a dispetto degli alleati che non potranno sventolare numeri da capogiro.

vicariIn questo puzzle in via di composizione qualche tassello lo ha in mano anche il Ncd di Angelino Alfano. Anche il ministro degli Interni non s’è risparmiato, facendo le sue puntate a Messina come ad Agrigento, a Palermo e a Catania. Forte della salda alleanza con Renzi a Roma, gli uomini di Alfano hanno lavorato per accreditarsi anche in Sicilia nella coalizione di centrosinistra e imporsi come eventuale guida centrista. Spinto al sostegno esterno al governo Crocetta dal segretario del Pd Fausto Raciti e da Gianpiero D’Alia, il Ncd negli ultimi mesi ha tentato diversi abboccamenti con i ‘renziani’ di Sicilia, molto legati a Cardinale. Al Politeama pure loro erano al completo, con Dore Misuraca, il responsabile nazionale enti locali del partito e con i sottosegretari Simona Vicari (in foto a lato) e Giuseppe Castiglione che hanno fatto diverse apparizioni alle kermesse di Renzi in giro per la Sicilia. Se dalle urne uscirà vincitore il “si” l’alleanza per creare il ‘grande centro’ sarà in discesa e i leader a quel punto metteranno sulla bilancia i risultati ottenuti nei territori per imporre la propria leadership. In caso di vittoria del ‘no’ lo scenario sarebbe un po’ più complesso. In questo caso bisognerà verificare chi ha giocato meglio le sue carte: D’Alia col suo progetto, Alfano con la sua fedeltà al premier o Cardinale, con quell’abilità di tessitore e raccoglitore di consensi che gli ha permesso di saltare dalla prima alla seconda Repubblica.
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