Dopo la batosta, lo shock. La valanga di ‘no’ al referendum ha sommerso il Pd e i suoi alleati. La coalizione è in tilt. Piani e strategie sono andati in fumo. Il quartier generale dei dem in via Bentivegna, a Palermo, è deserto. Tra i dirigenti c’è incredulità, l’incertezza è totale. Tanto che ieri è stata annullata la riunione del gruppo parlamentare del Pd all’Ars, tema analisi del voto referendario e finanziaria regionale. L’incontro tra Rosario Crocetta e Fausto Raciti, segretario del Pd siciliano, però c’è stato. “Solo chiacchiere, niente di che“, minimizza un dirigente a ilSicilia.it. Per i democratici del resto non si tratta di una semplice sconfitta elettorale: c’è la consapevolezza che di terreno sotto ai piedi ne è rimasto ben poco.
Il risultato bulgaro del 71%, con picchi dell’80% in alcuni comuni, è segno di una scollatura tra la classe dirigente che ha seguito il premier Renzi nella sua folle corsa in giro per l’isola e buona parte della base che votando ‘no’ ha sbattuto la porta in faccia a chi si è fatto carico di sponsorizzare la riforma mentre in Sicilia crollano i ponti, i fiumi esondano ai primi nubifragi, la disoccupazione giovanile è al 60% e 2 milioni e 700 mila persone sono a rischio povertà, con un tasso del 55%, più del doppio della media nazionale fa sapere l’Istat. Se Davide Faraone, il braccio armato dei renziani di Sicilia, fa mea culpa facendosi carico della “clamorosa sconfitta”, gli altri tacciono. Che fare? Un imbarazzo imbarazzante per chi, come Antonello Cracolici, s’è allineato al capo facendo campagna per il ‘sì’ tra l’increduilità dei ‘compagni’ rimasti fedeli e silenziosi attorno a Bersani, l’unico assieme a D’Alema che s’è battuto a volto scoperto per il ‘no’. Imbarazzo che vale anche per Fausto Raciti, dalemiano di formazione e giovane turco per convinzione che si ritrova a dovere gestire un partito disorientato, svuotato.
Persa la bussola, i dem in salsa sicula si sono consegnati al Nazareno. “Aspettiamo cosa succederà a Roma, qui per ora siamo nel caos”, sussurra un esponente di spicco del Pd. Addio autonomia, addio a quel ‘Pd Sicilia’, un tempo caldeggiato dal duo Cracolici-Lumia. Ma è preistoria. Le ansie di Rosario Crocetta – cacciare o non cacciare i renziani dal governo – dalle parti di via Bentivegna non provocano ne interesse ne fastidio. Occhi e orecchie sono puntati su Roma. Perché la partita, questa volta, è più grande delle liti da bottega provinciale, made in Sicily. Bisogna ripartire, questo è certo, ma neppure i volponi, quelli della vecchia guardia, al momento sanno che pesci pigliare. Il timone, questa volta, è davvero in mano ai piani alti, tra l’altro poco stabili.
La crisi si annuncia lunga, probabile che in Sicilia non cambi nulla. Almeno fino all’accelerata romana. Poi si vedrà. Intanto è tempo di leccarsi le ferite. Il banco è saltato per tutti. La corsa di Faraone e Bianco verso Palazzo d’Orleans, del post-Crocetta, s’è arrestata di brutto. Così come quella di Gianpiero D’Alia rimasto col cerino in mano: fuori dall’Udc e senza un partito di riferimento a Roma, ora che Ap s’è sciolta come neve al sole. E Ncd? Alfano, più di altri, è all’angolo. Il suo partito da solo vale lo zero/virgola. La sua Agrigento gli ha voltato le spalle da tempo. Berlusconi non lo degna d’uno sguardo, per Salvini è il diavolo.