“Sì, accetto di rispondere alle domande dei pubblici ministeri. Perché no…”. Queste sono parole di Totò Riina che parla via interfono con il suo legale, l’avvocato Giovanni Anania. Importante novità, questa, che rende Riina, detenuto nel carcere di Opera, il primo e fino ad adesso l’unico imputato del processo sulla Trattativa Stato-mafia che accetta di dare risposte all’accusa, eccezion fatta per Massimo Ciancimino e Giovanni Brusca.
L’udienza si tiene come sempre nell’aula bunker del carcere dell’Ucciardone di Palermo. “Qualcuno degli imputati ci può dire se consente di sottoporsi all’esame dei pm?”, questo è quello che domanda il presidente della Corte d’assise, Alfredo Montalto, a chiusura di udienza. Francesco Del Bene e Nino Di Matteo, i due pm che insieme a Vittorio Teresi e Roberto Tartaglia compongono il pool-trattativa, ribadiscono di sottoporre gli imputati all’esame della pubblica accusa. Nasce da qui la sorprendente conversazione tra l’avvocato Anania con Riina, sdraiato sulla lettiga, all’interfono dove il ‘capo dei capi’ dimostra disponibilità nei confronti del pubblico ministero per l’udienza del 16 febbraio. Tra gli altri, invece, c’è chi ha scelto di ‘non acconsentire’, come il medico Antonino Cinà, oppure chi come Leoluca Bagarella, è assente “per rinuncia”; gli altri si esprimeranno entro la prossima udienza del 9 febbraio.
L’accusa freme, immaginandosi al cospetto di Riina a cui cercherà di fare è più domande possibili, e che siano più mirate possibili. Dal “papello” di richieste allo Stato tramite Vito Ciancimino ai colloqui intercettati con Alberto Lorusso durante “l’ora della socialità” nel carcere milanese di Opera in cui Riina avrebbe parlato di Nino Di Matteo al boss della Sacra Corona Unita affermando: “Lo faccio finire peggio del giudice Falcone“.