C’è anche un istantanea dell’attuale situazione in Libia tra gli atti di accusa che stamane hanno condotto all’arresto di un ventenne di origini ghanesi. Le manette si sono rivelate obbligatorie dopo che nei giorni scorsi, era stato sottratto ad un tentativo di linciaggio da parte di alcuni migranti che lo avevano riconosciuto come uno dei responsabili di torture, sevizie e stupri perpetrati in Libia all’interno di una safe house dove i migranti venivano privati della libertà personale prima di intraprendere la traversata in mare per le coste italiane.
L’indagine è stata condotta dalla Dda di Palermo e affidata ai pm Calogero Ferrara e Giorgia Spiri. Secondo le testimonianze raccolte dalla Squadra Mobile di Agrigento il giovane, sbarcato a Lampedusa il 5 marzo scorso, sottoponeva le proprie vittime a torture, anche in diretta telefonica con i propri parenti, ai quali veniva richiesto il pagamento di un riscatto per porre fine alle sofferenze dei loro cari. L’accusa è di associazione a delinquere finalizzata alla tratta, al sequestro di persona, alla violenza sessuale, all’omicidio aggravato e al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, oltre che per singoli reati di scopo, realizzati in concorso con altri trafficanti.
“Ogni volta che dovevo telefonare a casa – racconta un testimone -, lui mi legava e mi faceva sdraiare per terra con i piedi in sospensione e, cosi’ immobilizzato, mi colpiva ripetutamente e violentemente con un tubo di gomma in tutte le parti del corpo e in special modo nelle piante dei piedi, tanto da rendermi quasi impossibile la deambulazione”. Per alcuni dei reati, consumati interamente all’estero, gli inquirenti hanno potuto procedere sulla base della richiesta del Ministro della Giustizia. “Spesso – ricorda un altro – collegava degli elettrodi alla mia lingua per farmi scaricare addosso la corrente elettrica”. “Porto ancora addosso – spiega un altro ancora – i segni delle violenze fisiche subite, in particolare delle ustioni dovute a dell’acqua bollente che mi veniva versata addosso”.