Secondo l’analisi condotta nel Report Sud, la fase di recupero dell’economia avviata nel 2015 si è rafforzata, in virtù del miglioramento del mercato del lavoro in corso da un paio d’anni. Rimangono quasi immutati i divari con il Centro/Nord, ma è innegabile che un qualche progresso ci sia stato. Nel 2016 l’occupazione è aumentata di 100 mila unità, pari ad un +1,7% contro un +1,3% medio nazionale. In corso d’anno è, però, emersa un’inversione di tendenza peggiorativa che lascia un’eredità pesante al 2017.
E’ stato presentato all’Università Lumsa di Roma il Report Sud 32° Rapporto I 2017 – Instant Focus Italia Meridionale. Presenti Francesco Bonini, rettore Lumsa, Giovanni Ferri, pro rettore alla didattica Lumsa, che ha moderato l’incontro, Pietro Busetta, presidente Fondazione Curella, Adriano Giannola, presidente Svimez, Alessandro la Monica, presidente Diste Consulting, che ha illustrato i contenuti dell’analisi. Ne hanno discusso Raffaele Brancati, presidente Met Roma, Fabio Mazzola, pro rettore vicario Università di Palermo.
“Dai dati emerge un mercato del lavoro che anche se cresce, lo fa a ritmi lontanissimi dalle esigenze che riguardano le aree del Sud. Infatti per andare a regime avrebbero bisogno di un saldo occupazionale pari a 3.500.000 di posti di lavoro. Si è ricominciato a crescere ma i ritmi devono essere altri”, ha commentato il professore Pietro Busetta, presidente della Fondazione Curella.
Il recupero della domanda di lavoro non ha propiziato una contrazione dell’offerta, perché nel mentre si sono affacciati sul mercato del lavoro nuovi flussi di inattivi, spinti dall’urgenza d’integrare i magri introiti famigliari. Il tasso di disoccupazione è salito al 19,6% (11,7% la media nazionale), mentre resta eccessivo il tasso di disoccupazione giovanile, malgrado il ribasso del 2016 al 51,7%, quasi venti punti in più del 2007, anno pre-crisi. Il consuntivo macroeconomico stimato dal Diste segnala un incremento del prodotto interno lordo dell’1,2%, più robusto della dinamica del Pil nazionale (+0,9%). Ma indica anche che il prodotto lordo, malgrado i positivi risultati dell’ultimo biennio, è tuttora al livello in cui si trovava nel 1997.
“L’unico progetto per il sud – afferma Alessandro La Monica, presidente del Diste – sembra essere quello dello spopolamento per riportare il rapporto popolazione-occupati ai livelli accettabili. È questo quello che emerge dai dati, dal 2007 ad oggi gli occupati sono diminuiti di 610.000 unità ed il Pil, nonostante gli incrementi più recenti, è sui livelli del 1997”.
I consumi delle famiglie crescono in misura più contenuta (+1,2% contro +1,4% nazionale) della progressione del potere d’acquisto dovuta all’aumento dell’occupazione e quiescenza dell’inflazione. Ciò si è riflesso in un lieve innalzamento della propensione al risparmio. I consumi rimangono più bassi dell’11% rispetto a nove anni prima. La debolezza dei consumi e le incertezze sulle prospettive hanno frenato l’attività d’investimento ad un +2,8%, nonostante la moltiplicazione degli incentivi fiscali. La spesa d’investimento in costruzioni resta più bassa del 40% rispetto al 2007, quella in beni strumentali al di sotto del 25%.
“Il Report mette in risalto un quadro in chiaro-scuro dell’economia del Sud in cui la recente inversione di tendenza positiva nella dinamica del Pil e del mercato del lavoro mostra un improvviso “raffreddamento” legato ad una incertezza di fondo che ancora contraddistingue il comportamento degli operatori economici. Le misure di politica economica in via di definizione avranno bisogno di una maggiore intensità e continuità per poter riportare l’economia del Sud ai livelli pre-crisi, ha sottolineato Fabio Mazzola, prorettore vicario dell’Università di Palermo.
Dal lato della produzione il consuntivo meno lusinghiero appartiene al ramo delle costruzioni, con il valore aggiunto che registra un +0,6% grazie ai lavori di riqualificazione abitativa, il cui sostegno sarebbe stato quasi del tutto neutralizzato dalla titubante ripartenza dei lavori pubblici, e dallo stallo della nuova edilizia e del non residenziale privato. L’agricoltura, dopo l’ottima performance del 2015, rallenta allo 0,9%. L’industria e i servizi consolidano la fase di recupero già in atto, registrando incrementi rispettivamente del 2,1% (+1,3% l’intera industria italiana) e dello 0,9% (+0,6% su scala nazionale). Tuttavia, mentre il ramo industriale resta su un livello di attività ancora al disotto del 30% dai valori di nove anni prima, per i servizi il differenziale è più ridotto e pari al 5%.
Le proiezioni per il 2017 indicano la prosecuzione della fase di lento recupero dell’economia, con tassi ancora più contenuti di quelli dell’anno passato, a causa dell’attenuarsi di specifici impulsi positivi. Le stime vanno interpretate con cautela, data la complessità della situazione congiunturale, caratterizzata da una tendenza di fondo all’appiattimento.
Quest’anno il prodotto interno lordo dovrebbe crescere dello 0,7%, in un quadro connotato da un arresto della ripresa in materia di occupazione. Quest’ultima tornerebbe su una dinamica contenuta (+0,2%), le cui avvisaglie erano già emerse dalla fine della scorsa estate. La creazione netta di posti di lavoro si ridurrebbe a non più di 10 mila unità, dopo i 100 mila del 2016. Il consuntivo occupazionale è atteso coniugarsi con un aumento delle persone alla ricerca di un impiego e con un ampliamento del tasso di disoccupazione al 20,3%.
La spesa di consumo delle famiglie risentirà dell’ampliamento della disoccupazione e del ritorno graduale dell’inflazione, decelerando ad un +0,4%. La spesa in conto capitale continuerà ad essere dominata dal contrasto tra la cautela suggerita dall’eccesso di capacità e dalle aspettative poco favorevoli e lo sprone proveniente dalle agevolazioni. Gli investimenti fissi aumenteranno dell’1,5%, frutto di una progressione dei beni strumentali e di un blocco quasi totale delle costruzioni.
Tra i rami di produzione che concorrono alla formazione del prodotto interno lordo, la performance migliore sarebbe conseguita dall’agricoltura, con un incremento del valore aggiunto prossimo a 1,8%. In seconda posizione si porrà il ramo dei servizi, stimato aumentare ad un tasso (+0,7%) lievemente inferiore a quello del 2016. Nell’industria la dinamica della produzione dovrebbe assumere un ritmo più dimesso di quello dell’anno precedente, di riflesso alla perdurante debolezza dei consumi e alla modesta progressione della domanda di beni d’investimento. Le proiezioni sul valore aggiunto prodotto scontano un incremento dello 0,5%. Tra i quattro grandi rami di attività economica ritorna – dopo un biennio di variazioni ovunque positive, anche se d’intensità diversa – il segno meno, per il valore aggiunto delle costruzioni che registrerà una marginale flessione.