Li vedi alle 2 o alle 3 di notte ancora collegati su Facebook intenti a pubblicare post, a rispondere ai commenti o a controllare cosa fanno gli altri: cosa ha scritto tizio, se ha pubblicato le foto dell’iniziativa, quante persone c’erano, quanti like ha ricevuto quel post e chi lo ha commentato … .
Da quando è iniziata la campagna elettorale per le comunali non riescono proprio a farne a meno. Sono sempre incollati allo smartphone o al tablet, al punto di non riuscire a prendere sonno. È la sindrome del candidato a Palermo al tempo dei social network.
Quello che gli esperti spesso riscontrano sui giovani, che sviluppano un rapporto patologico con i new media, sta accadendo anche a tanti aspiranti consiglieri. Nulla di strano se decidono di dedicare energie e risorse a queste tecnologie. Internet ed in particolare i social sono mezzi di informazione e comunicazione fondamentali, usati sia durante il tempo libero che a fini professionali e politici. Ma se non adoperati in modo opportuno rischiano di generare nei candidati-utenti una rappresentazione distorta della realtà e di produrre conseguenze negative sul loro equilibrio psicofisico.
C’è chi pensa, ad esempio, che il numero di amici su Facebook o di follower su Twitter possa letteralmente trasformarsi in bottino di voti su cui poter contare. Personalmente mi è capitato di sentire politici dire: “tizio è forte, ha 5 mila amici”. Ovviamente tra le due cose non vi è nessuna connessione.
Altri, invece, considerano l’engagement, ovvero il coinvolgimento che riescono ad ottenere, un indicatore del loro seguito, indipendentemente dal tipo post pubblicato. Così anche i contenuti personali, come le foto di famiglia che di norma ricevono tanti like e commenti positivi, vengono considerati come cartina di tornasole elettorale.
Fino a qui nulla di pericoloso. Tutto ricade negli errori di valutazione, nell’erronea interpretazione della rappresentazione mediatica della realtà. Le cose si fanno più serie quando si parla di vere e proprie patologie connesse ad un utilizzo malato dei nuovi media digitali, come il vamping, la like addiction o la nomofobia.
La prima, il vamping (dalla parola vampiro), consiste nel rimanere svegli o svegliarsi più volte durante la notte, per monitorare le notifiche dei social network o per navigare da una pagina all’altra senza un fine o una meta precisa. È evidente che la mancanza di sonno incide negativamente sulla persona nel corso della giornata successiva, provocando ad esempio cali d’attenzione, sbalzi d’umore, stress, nervosismo.
C’è poi la like addiction. Proprio come i ragazzi sono costantemente alla ricerca di apprezzamenti e riconoscimenti da parte dei loro coetanei e del popolo della rete, anche i candidati sono affetti dalla stessa sindrome. Ottenere “Mi piace”, condivisioni e commenti positivi diventa una vera e propria ossessione. Per farlo sono disposti a tutto, come pubblicare contenuti a raffica o pagare cifre spropositate per sponsorizzare un post scritto, un’immagine o un video.
Infine la nomofobia, senza la quale non si potrebbero verificare le devianze precedenti, ovvero la paura di rimanere sconnessi da internet e quindi di dimenticare lo smartphone a casa o di trovarsi in un posto dove non c’è copertura. Una preoccupazione comprensibile per un candidato a sindaco e per il suo staff di comunicazione, ma del tutto trascurabile per tutti gli altri.
Nessuna demonizzazione. I new media sono strumenti dalle potenzialità straordinarie, se usati con responsabilità e consapevolezza. Proprio per questo motivo stare un paio d’ore isolati dalla rete per un candidato non è la fine del mondo ai fini della propria campagna elettorale. Anzi, questa ne potrebbe trarre giovamento, se magari decidesse di trascorrere quel tempo con i propri concittadini per avere il polso diretto della realtà che essi vivono e dei problemi della città.
Un esercizio che contribuirebbe a ridefinire un rapporto più sano ed equilibrato non solo con i social, ma soprattutto con la politica.