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Il Messina, storia di una squadra e del suo fallimento

lunedì 17 Luglio 2017
Il disastro è compiuto. Sono passati 13 anni da quel 5 giugno 2004, Messina-Como 3-0, che sanciva la matematica promozione in Serie A del Messina: 156 mesi dopo, come fosse trascorso un secolo, la squadra giallorossa viene cancellata dalla Lega Pro (la vecchia Serie C) e sprofonda ufficialmente nell’inferno del calcio dilettantistico.
E’  il fallimento di una squadra di calcio ma è soprattutto il punto esclamativo al fallimento complessivo di una città sfiancata e mortificata dall’inadeguatezza della sua classe dirigente, dalla politica all’imprenditoria. La mancata iscrizione al campionato di Lega Pro è l’ennesimo schiaffo ad una tifoseria che per la terza volta in 24 anni dovrà  ripartire dai dilettanti ma deve far riflettere anche e soprattutto per l’incapacità delle Istituzioni locali di impedire un fallimento che si poteva e si doveva evitare. 
 
Dal paradiso al purgatorio sino all’inferno, il Messina scompare dalle mappe professionistiche e con questa debacle trascina nel baratro sportivo uno dei pochi contesti sociali in cui sino a qualche tempo fa la città poteva trovare un motivo di orgoglio e vanto in ambito regionale sino anche alla ribalta nazionale dei primi anni Duemila.
Il fallimento di Franco Proto e dell’Acr Messina, che non ha neppure presentato il ricorso contro l’esclusione dal campionato di Serie C 2017/2018, è la cartina di tornasole di una morte sportiva annunciata. Non è stata stipulata la polizza fideiussoria necessaria per l’iscrizione al prossimo torneo professionistico  e le garanzie fornite dal club giallorosso non sono state accolte dalla Covisoc, l’organo di controllo.
La fine era nell’aria, ma anche stavolta la politica non è riuscita a fare la propria parte per non togliere ai messinesi un simbolo, un amore che va oltre i confini del rettangolo di gioco.
La legge ineludibile del contrappasso, ineludibile e veritiera, riporta alla memoria e alla mente le imprese del Messina di Pietro e Vincenzo Franza, artefici degli anni d’oro eppure troppo in fretta scaricati e persino contestati da una piazza che ha dimenticato le imprese di quella società capace di raggiungere la massima serie e persino in grado di regalarsi imprese con le big Juve, Inter, Milan e Roma. Dopo i Franza, il diluvio, l’ecatombe di nuove proprietà e cordate varie che non hanno ripetuto quel miracolo sportivo ma nemmeno ci hanno provato e non sono riuscite a creare le condizioni essenziali di stabilità economica, finanziaria ed ambientale. 
 
Proto lamenta il mancato supporto della città e della classe imprenditoriale che avrebbe potuto tenere in vita il calcio in riva allo Stretto e forse su questo tanto torto non gli si può dare, perchè se magari era difficile trovare un altro Franza, magari non era impossibile mettere insieme quattro o cinque imprenditori in grado di salvare la barca giallorossa che stava affondando. Almeno in questo caso non si può crocifiggere Accorinti ma è altrettanto vero che il sindaco pacifista, in queste settimane alle prese con l’organizzazione della visita del Dalai Lama in città, avrebbe potuto convocare al palazzo comunale qualche esponente di rilievo dell’imprenditoria locale e spingere nella direzione del necessario coinvolgimento di nuovi soggetti per dare uno scossone alla situazione che stava precipitando. Con i se e con i ma non si cambierà mai la storia, è la stessa storia che però si scrive col carattere e la caparbietà di voler ribaltare una crisi economica e farne l’opportunità in una fase di rilancio della squadra. Utopia in una Messina dove i problemi non vedono spuntare il sole e i messinesi sono sempre costretti a masticare l’amarezza di conquiste perdute e di una crisi senza fine, in ogni ambito. 
 
Dall’asta  fallimentare in poi (primavera 2009), sino agli ultimi, disperati, tentativi, la tifoseria peloritana ha vissuto la lenta agonia di un club che non ha rispettato la prima scadenza del 26 giugno, poi quella del 30 giugno, né quella del 5 luglio. Il ricorso avrebbe dovuto contenere la fideiussione da 350mila euro con il premio assicurativo di 38mila euro; 600mila euro tra stipendi e contributi; ripianare il bilancio con una somma di poco superiore ai 28mila euro; 20mila euro per saldare un vecchio debito nei confronti della lega calcio).
Tutto è rimasto incompiuto e il Messina è stato dichiarato fallito e ad oggi non sussistono neppure le condizioni per l’iscrizione in Serie D, visto che occorre versare subito 150mila euro a fondo perduto, 50mila euro per documentazione ed iscrizione. “Dopo di noi non ci sarà più calcio a Messina” dissero i Franza nel 2008 e quell’anatema si è rivelato una previsione tremendamente azzeccata. Fallisce il Messina ma retrocede tutta la classe dirigente di una città che va rifondata negli uomini, nel modo di pensare e di vivere un territorio dove la gente è stata depredata persino del diritto di sognare un futuro migliore. 
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