Ebbene sì, per il palermitano la pasta con i tenerumi rappresenta un rito superiore da celebrare ogni estate. Non si tratta di un semplice primo piatto da degustare in un ristorante, ma di un momento sacro da ripetere almeno una volta l’anno a casa.
Ed è qui che la moglie assurge al ruolo di protagonista. Infatti, è lei che con studio attento e ponderato individua la giornata ideale. La pasta con i tenerumi non va mangiata in un giorno qualunque. La dea del focolare domestico deve essere capace di individuare con netto anticipo il giorno in cui la temperatura oscillerà dai 38 ai 40 gradi all’ombra.
Per il marito deve essere un connubio di sudore e piacere. I tenerumi, considerati da alcuni prodotto di scarto, cosiddette “pezze”, o addirittura non inclusi tra le verdure commestibili, per i palermitani rappresentano una prelibatezza per cui vale la pena rischiare un calo di pressione.
Anche la preparazione non è data al caso e come nei riti tradizionali assume un rilievo fondamentale. I tenerumi, puliti in maniera maniacale, insieme ai “giummi”, germogli, vengono immersi dentro una pentola con acqua e sale e si fanno cucinare sino a fare “spaccare u vugghiu ra pignata”, ovvero portarli alla giusta bollitura. Contestualmente in un padellone si prepara il “pic pac”, o come dicevano le nostre nonne il “picchio pacchio”, che sarebbe pomodoro a pezzetti “ngranciatu”, soffritto, con l’aglio e un po’ di peperoncino.
Anche il tipo di pasta è da attenzionare. Non un tipo qualunque, ma spaghettone n° 4 spezzettato e rispezzettato all’interno di una “mappina”, strofinaccio, e successivamente messo in pentola insieme ai tenerumi. A fine cottura assisteremo estasiati a quello che è un altro passaggio del rito: lo “sversamento” del “picchio pacchio” all’interno della pentola incandescente.
A questo punto la pietanza può essere servita in un piatto fondo, aggiungendo del pepe nero quanto basta.
Ma è adesso che entra in scena come nelle più celebri opere teatrali il co-protagonista, ossia il marito. “U masculu ra casa”, prima di sedersi a tavola per consumare il tanto agognato piatto, ha un compito non indifferente: riuscire a posizionarsi nel posto più arieggiato della cucina, laddove la triangolazione tra le finestre consenta di ottenere la ventilazione ottimale.
Infine, l’ultimo atto prima di passare alla tanto agognata degustazione: “la vestizione”. La pasta con i tenerumi va mangiata rigorosamente in bermuda e canottiera a costine, per asciugare il sudore e “mappina” avvolta in testa per evitare gocciolamenti vari.
Si consuma così l’antico rito della pasta con i tenerumi a Palermo, nell’attesa che il cambio delle stagioni porti il palermitano verso altri odori e sapori.