Sono tra quelle che non ha mai affermato neanche per errore o per ironia: “mi sarebbe piaciuto nascere uomo”. E in effetti non ho mai pensato, neanche per un attimo, come sarebbe stata la mia vita senza reggiseno, senza collant che scivolano giù e si smagliano mentre cerchi di rimetterle apposto, senza tacchi ai matrimoni o privata della deliziosa sindrome pre-mestruale.
Ma perché immaginarmi senza la morbidezza a grappoli della cellulite, delle centinaia di borse e accessori che annebbiano la vista dentro ai cassetti, delle mie letture tutte al femminile, della libertà di far crescere le unghia ricettacolo silenzioso di organismi riluttanti. Perché rinunciare ai dolori del parto e alla magica metamorfosi del corpo che dona la vita?
Eppure questo pianeta non sembra amarci tanto. Non ci vogliono bene le politiche economiche che continuano a trattarci da “schiave”, il nostro lavoro continua ad essere sottopagato e nelle professioni più spiccatamente “maschili” abbiamo difficoltà ad affermarci. Neanche le religioni sembrano avere tanto a cuore il sesso femminile considerato peccaminoso e seducente. Come se la bellezza fosse qualcosa da celare per non stuzzicare gli appetiti dei tanti Adamo presenti sulla terra, ingenui ragazzotti dell’Eden pronti a mangiare la mela su suggerimento di diavolette tentatrici.
Ergo non ci rimane che riflettere e per farlo dobbiamo davvero spogliarci. Ma parlo di nudità intellettuale. Siamo davvero capaci di indignarci per le molestie subite dalle attrici che amiamo per poi, un attimo dopo, salvare il carnefice con frasi del tipo: “Beh però lei ci ha fatto tre film, poteva dire no”, oppure quando si osa sfiorare la nobiltà d’animo dei nostri premi Oscar: “Forse è accaduto, ma a me sembrano calunnie. Ma poi dopo vent’anni? Che confessione è?”.
Ebbene tralasciando le celebrità e relegandole al grande schermo, siamo capaci di ritagliarci uno spazio piccolo per narrare le nostre di verità, quelle noiose, quotidiane delle donne comuni? Magari un poco goffe, con la pancetta e che allo stesso modo subiscono quelle cose orrende che il mondo del lavoro e, non solo quello,non risparmia a nessuno? A quante di noi sarà capitato almeno una volta nella vita di ritrovarsi in situazioni imbarazzanti. E sentirsi dalla parte del torto, come se fosse normale. Come se la violenza, come se le molestie verbali e fisiche alla fine ce le siamo meritate, cercate, volute. Tutte le volte che giustifichiamo la violenza, anche in maniera celata, diveniamo carnefici e attiviamo quella discriminazione di genere, quella forma profonda di razzismo che invece diciamo di combattere da millenni. E continuo a credere che spesso il peggior nemico delle donne siano le donne stesse.
Basta stringersi nel silenzio della memoria per ripescare intatti quei ricordi che fanno male, che speravamo non tornassero più, ricacciati nel buio profondo di una recondita parte della nostra mente. Quante volte ci siamo sentite inopportune e abbiamo provato un infinito senso di disgusto misto a vergogna dinanzi ad una frase o peggio ancora ad un tentativo poco felice di approccio con l’altro sesso. Quante volte abbiamo ripetuto a noi stesse: “cosa ho fatto per meritarlo?”.
E quante volte siamo tornate a ripeterci che abbiamo fatto bene a dire no. Ecco perché trovo uno schiaffo al nostro genere l’affermazione del prete alla ragazza stuprata: “Te la sei cercata”. Eh no, nessuno può avere il diritto di pronunciare queste parole. Perché è stato come ucciderla un’altra volta e come violentare tutte, ma proprio tutte le donne che vivono su questo pianeta.