A distanza di meno di due mesi dal voto che ha eletto un nuovo governo in Sicilia e disegnato un altro parlamento (con venti deputati in meno rispetto al passato) si completa, con l’insediamento oggi delle commissioni di merito, l’ultima parte della prima, iniziale, frazione di legislatura.
Siamo ancora all’accensione della macchina. Ma già si intravedono i primi colpi di tosse al rumore ingolfato della politica siciliana.
Per ora, tranne per il fatto che i problemi di Baccei ora sono di Armao, quelli di Marziano sono di Lagalla, i concorsi nella Sanità li dovrà fare Razza e non Gucciardi, Forza Italia è risorta e il Pd si trova oltre una crisi profonda di nervi, avendo da tempo oltrepassato l’orlo, di nuovo c’è poco altro.
Il linguaggio della politica ha blindato il ruvido mestiere della gestione del potere e Gianfranco Miccichè, da una parte, e Giancarlo Cancelleri, dall’altra, avranno il compito di portare avanti le leggi del parlamento siciliano.
Da un lato chi vuole rimettere i tetti degli stipendi all’Ars, dall’altro chi vuole abolire i vitalizi.
Due eccellenze degli antipodi, con in mezzo l’attività parlamentare e legislativa di una maggioranza che si annuncia fragile e scricchiolante.
Per il resto, hanno trovato posto in questi mesi, un buco da 300 milioni di euro nel bilancio della Regione, 5 indagati tra i nuovi parlamentari come primo buongiorno della legislatura, un diktat romano sui rifiuti da parte del ministero dell’Ambiente, e un annunciato valzer delle poltrone dei maxiburocrati regionali, che a breve, non appena finanziariamente si potrà, aprirà le porte anche a tre nuovi dirigenti esterni dell’amministrazione regionale.
Ieri tra lo stupore della lettera rivolta al nuovo presidente dell’Ars da Cosimo Scordato, parroco palermitano, che lo invita a una parca politica dei costi del Palazzo, e l’elenco delle cose da fare che Miccicchè ha snocciolato, come un bambino entusiasta che non vede l’ora di cominciare, sforzandosi di restare calmo (c’è un sacco enorme di politica che lo attende, non ha trovato certo carbone nella calza natalizia) c’era anche Cateno De Luca che chiedeva strada, fumando nervosamente tra i corridoi di Palazzo dei Normanni.
Il simbolo vero dell’instabilità centrista, che può persino di più degli accordi goffi e imbarazzanti che i renziani di Sicilia, accelerazione transitoriae improbabile del partito della Nazione, è il Cateno-pensiero: “non condivido i metodi alla base delle scelte”, splendida summa del: “quando non tocca a me, me ne vado” che ha fatto la fortuna dei voltagabbana e dei cambidicasacchisti che hanno reso negli anni l’Ars un parcheggio dorato di durata quinquennale.
Insomma, l’esordio dell’Ars non appare memorabile, ma diamo tempo al tempo, prima di poterci lamentare con cognizione di causa.