La famiglia di Caltagirone, che secondo la Dda di Catania, “con altro grado di probabilità allo stato degli atti”, ha “in Gioacchino Francesco ‘Gianfranco’ La Rocca, figlio dello storico capomafia “Ciccio” deceduto nel dicembre 2020, “l’indiscusso vertice a capo di un nutrito gruppo criminale” che in stretto rapporto con imprenditori “attraverso i quali Cosa nostra calatina, grazie anche alle entrature di cui gode al Comune di Caltagirone, esercita un’attività pressoché monopolistica nel settore degli appalti”.
E’ quanto si legge in una nota della Procura distrettuale etnea sull’operazione Agorà dei carabinieri del Ros e del comando provinciale di Siracusa. Secondo l’accusa, sarebbe stato “documentato come alcuni dipendenti dell’amministrazione comunale, non destinatari di provvedimento cautelare, ma ai quali verrà noti-ficata l’informazione di garanzia, consapevoli di chi rappresentasse l’impresa Ciriacono ‘modellavano’ i bandi così da favorire le aziende, destinatarie di sequestro preventivo, e quindi Gianfranco La Rocca”.
Per la Dda di Catania “particolarmente significativa appare inoltre la vicenda relativa alla gestione dei servizi cimiteriali nel comune di Vizzini, scaturita dalla volontà di Gesualdo Briganti, gravemente indiziato di essere esponente di spicco del clan Nardo di Lentini, di inserirsi nella gestione dell’appalto attraverso una società a lui riconducibile, ma in violazione di accordi risalenti nel tempo che attribuivano il servizio, sebbene ricadesse in un’area di influenza del clan siracusano, alla ditta La Cutrera onoranze funebri srl, di fatto – contesta la Procura distrettuale di Catania – riconducibile a Gianfranco La Rocca”.
La questione, ricostruisce la Dda, “veniva poi risolta a seguito di più interlocuzioni tra i vertici dei due gruppi mafiosi che stabilivano come la ditta riconducibile a La Rocca avrebbe continuato la gestione dei servizi, cedendo tuttavia una percentuale dei profitti al clan Nardo e a Cosa nostra catanese”.
La ‘famiglia’ Santapaola di Catania e il clan Nardo di Lentini (Siracusa), entrambi appartenenti a Cosa nostra, facevano affari insieme, nel traffico di droga e nel controllo del tessuto imprenditoriale, ma avevano anche contrasti economici in settori di interesse comune. E’ quanto emerge dall’inchiesta Agorà della Dda etnea basata su indagini dei carabinieri del Ros di Catania e del comando provinciale di Siracusa che ha portato all’arresto di 47 persone e alla notifica di un’ordinanza non restrittiva per altri nove indagati. Durante le indagini militari dell’Arma hanno sequestrato complessivamente 108 chili di marijuana, 2,6 kg di cocaina e 57 kg di hashish. Le cointeressenze tra i due gruppi criminali, ricostruisce in una nota la Dda di Catania, erano rivolte anche al controllo del tessuto imprenditoriale.
Nel complesso, scrive in una nota la Procura, l’attività investigativa ha dimostrato, per ciò che emerge dall’attuale fase del procedimento, come “i destinatari della misura restrittiva mantenessero attiva la propria rete di controllo su diversi settori economici e sociali, operando mirate estorsioni i cui ricavi erano da dividere in basi a precisi accordi e sulla base dello spessore della famiglia destinataria”. Gli interventi delle cosche sfociano in monopoli in alcuni settori, creando attriti ‘economici’ e ‘territoriali’ I contrasti tra il clan Nardo e la famiglia Santapaola-Ercolano erano affrontati a Catania e anche i potenziali conflitti erano ricomposti “nel rispetto della tradizionale alleanza tra le due compagini mafiose”, come nel caso di un’azienda che ha dovuto pagare la protezione i entrambe le cosche