La presenza di un cane stimola le persone con la malattia di Alzheimer (AD) a interagire riducendo il loro isolamento sociale e la solitudine.
A dirlo è uno studio realizzato da un gruppo di lavoro multidisciplinare coadiuvato da Fausto Quintavalla, docente del Dipartimento di Scienze Medico-Veterinarie dell’Università di Parma e pubblicato sulla rivista internazionale Animals.
La ricerca, compiuta dal gruppo composto dai docenti dell’Ateneo Giuseppina Basini, Alberto Sabbioni (Dipartimento di Scienze Medico-Veterinarie) e Paolo Caffarra (Dipartimento di Medicina e Chirurgia), dalla psicologa Diana Spinelli e dai medici veterinari esperti in medicina comportamentale e approccio cognitivo zooantropologico Simona Cao e Fiammetta M. Rossi, ha coinvolto 30 pazienti con malattia di Alzheimer e 3 cani coterapeuti.
Nel corso dello studio, si è notato che le persone che hanno avuto cani, hanno ottenuto un miglioramento complessivo del proprio stato di benessere percepito, anche sul piano cognitivo e mnemonico.
Ne consegue che gli interventi assistiti dagli animali contribuiscono al miglioramento del benessere sociale e globale. La presenza di un cane, indipendentemente dalla taglia e dalla razza, stimola le persone con la malattia di Alzheimer (AD) ad interagire riducendo il loro isolamento sociale e la solitudine.
Tuttavia, due mesi dopo la fine delle sessioni con gli animali, i benefici dell’intervento tendono a diminuire progressivamente, suggerendo quindi la necessità di interventi prolungati nel tempo e correlati alla presenza dell’animale in modo costante nella routine dei pazienti.
La malattia di Alzheimer (AD) è la causa più comune di demenza nell’uomo: è stato stimato che in Italia, nel 2020, si siano verificati oltre 500.000 nuovi casi di demenza.
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