di Francesco Pira, Professore Associato di Sociologia- Direttore del Master in Esperto della Comunicazione digitale Università di Messina
L’arresto di Matteo Messina Denaro ha proposto per la prima volta una diversa narrazione giornalistica, peraltro a livello mondiale, che certamente rispecchia le esigenze di velocità, sintesi, utilizzo forsennato delle immagini, video con audio di momenti particolari. Allo stesso tempo ha avuto una narrazione parallela che si è auto-alimentata sui social network registrando, ora dopo ora, complotti, teorie, satira, meme, deep fake (video con la faccia in movimento del boss e una voce che cantava per evidenziare il fatto che presto avrebbe fatto rivelazioni.
Negli ultimi anni ho svolto ricerche su come è cambiata la comunicazione della mafia dai pizzini al web.
Le mafie che hanno impostato il loro sistema sui nuovi modelli relazionali, hanno anche imparato ad utilizzare nuovi codici e nuovi linguaggi per confondersi, con quel loro fare camaleontico, nel fluire della società liquida. E lo hanno fatto attraverso un uso appropriato delle nuove tecnologie come risorse per la gestione dei propri flussi finanziari e per lo sviluppo delle attività criminose, muovendosi con disinvoltura sui social e WhatsApp.
Il codice comunicativo si è evoluto e, se in una precisa fase storica, è stata sfruttata la spettacolarizzazione, in seguito è tornato ad essere impiegato come veicolo di messaggi, riappropriandosi della sua identità. Esemplari in tal senso l’impiego di pizzini di Bernardo Provenzano, che sono stati strumento di comunicazione e di gestione del potere ed hanno al contempo contribuito a svelare agli inquirenti molte dinamiche di Cosa Nostra, aprendo, quindi, ad una dimensione esterna.
Controversa si presenta ancora oggi la figura del mafioso, in cui convivono due nature contrapposte: sono santi e benefattori per alcuni, demoni per altri. A tal proposito basta richiamare alla mente le opinioni che i Corleonesi hanno, ad esempio, dello stesso Totò Riina, ancora oggi. Immagini che vengono delineate anche attraverso il filtro della manipolazione seduttiva che sono in grado di esercitare attraverso la rappresentazione mediatica del mafioso. Oggi i mafiosi sono colletti bianchi capaci di usare bene le potenzialità delle nuove tecnologie. Comunicano e commettono i loro delitti attraverso il web. Possono permettersi di assoldare esperti. La mafia rurale ha lasciato il posto a quella ipertecnologica. C’è una differenza sostanziale tra il vissuto e il percepito.
Ho avuto modo di appurare in attività di ricerche esaminando spesso come Cosa Nostra sia passata con disinvoltura dai pizzini ai nuovi canali social, la narrazione mediatica del linguaggio mafioso. La percezione distorta del reale viene, infatti, enfatizzata dai mezzi di comunicazione, che insistono sui particolari, su quel “feticismo del dettaglio”, che accresce la curiosità, tanto che sempre più spesso i casi di cronaca nera diventano sempre più eventi televisivi, per mezzo dei quali alzare l’audience grazie alla morbosa cura dei dettagli angoscianti.
Falcone e Borsellino hanno immolato le loro esistenze e sacrificato così i loro affetti più cari. Le fiction sono diventate realtà. Anzi la realtà ha superato ogni finzione scenografica. E se si vuole scrivere insieme un nuovo copione, è necessario imparare a conoscere le nuove modalità di interazione e di comunicazione impiegati dalle criminalità organizzate, in modo da formare adeguatamente anche le nuove generazioni. Andare oltre “Il Padrino”. Oltre “Il Capo dei Capi”. Tutto viaggia sulla rete. Tutto è social, anche la mafia.