Non è facile parlare di Pd in una città e provincia che è stata ignorata, quando non maltrattata, dai vertici del partito pagandone le conseguenze con un progressivo allontanamento della gente (quella reale, che poi va a votare).
Non è facile in una Messina che, probabilmente per la prima volta in assoluto, non ha neanche un parlamentare Pd che rappresenti la sua terra, logica conseguenza di candidature decise dall’alto e a uso e consumo “dell’alto”.
Stefano Bonaccini lo sa quando varca l’ingresso del Palacultura per incontrare quelli che ancora ci credono ad un partito realmente democratico e riesce a trovare le corde giuste, alimentando il giusto orgoglio di una sinistra che non vuol essere schiacciata dal populismo e la giusta rabbia di chi è stanco di perdere tutte le elezioni perché chi decide lo fa chiuso in una stanza, in modo autoreferenziale e pensando solo, per dirla alla Bonaccini: “ai nomi e ai cognomi e non ai contenuti”.
Il candidato alle primarie per la segreteria nazionale del Pd approda in un territorio in cui essere dem non è la stessa cosa che in Emilia Romagna e in Toscana e a ricordarglielo è il segretario provinciale, Nino Bartolotta: “Messina è sempre stata considerata dai vertici del partito periferia del regno. Oggi non abbiamo un parlamentare. In questo momento la gente vuol sapere come ripartirà il Pd, ci piace pensare che il peggio è alle spalle”.
Ripartire da un nuovo gruppo dirigente è proprio quello che dirà Bonaccini nel suo intervento ed è quello che sta accadendo in questa “periferia del regno”, là dove a strappare l’unico seggio Pd all’Ars è un giovanissimo, Calogero Leanza peraltro adesso anche vice presidente della Commissione sanità.
“Noi ci siamo, abbiamo sempre messo la faccia e continuiamo a farlo- ha detto Leanza– In questa terra il populismo più becero ha governato e raccolto consensi. Non possiamo più permettercelo. Bonaccini è una persona concreta, e il partito come ha detto chiaramente con una metafora deve tornare al bar a parlare con la gente”.
Ed è proprio dal ritorno alla gente che inizia Bonaccini, consapevole che un partito che ha finito con il parlarsi addosso ha perso per strada, a favore anche della destra e non soltanto del M5S e del Terzo Polo, i suoi elettori.
“Abbiamo bisogno di un partito che torni ad essere popolare, che torni nei luoghi di lavoro, nei luoghi d’impresa, là dove la gente si cura o si diverte- dice Bonaccini- Se vuoi fare bene devi conoscere i luoghi e le persone. Voglio una classe dirigente che sappia entrare in un bar e sappia ascoltare le persone e dare risposte. Voglio un gruppo dirigente che stia poco negli uffici, compresi quelli romani, è più in mezzo alla gente. Abbiamo perso troppe elezioni, serve un nuovo gruppo dirigente. Dobbiamo parlare di contenuti e non di nomi e cognomi. Alla gente non importa nulla del destino personale dei singoli dirigenti”.
Tornare nei bar come metafora, nei luoghi di lavoro che negli anni sono stati disertati anche per paura dei fischi. Bonaccini è andato allo stabilimento Mirafiori, senza timori di eventuali fischi, ed ha scoperto che lì l’ultimo segretario ad esserci andato è stato Bersani nel 2012.
E in fondo è proprio vero che in questi 10 anni il Pd è stato sempre di meno nei luoghi di lavoro e più nei salotti. E si è perso (e ha perso).
“Se divento segretario nazionale garantisco che nessun dirigente di partito potrà dire non mi candido nei collegi uninominali……dovranno candidarsi agli uninominali– spiega puntando ad archiviare la brutta pratica dei dirigenti dem di scegliersi comode candidature al plurinominale blindato- Dirò di più, i candidati alle prossime Politiche li sceglieranno gli elettori con le primarie nei singoli territori”.
Praticamente una rivoluzione che però deve andare di pari passo con la riforma di una pessima legge elettorale che proprio il Pd ha voluto.
Poi l’appello al confronto e al dialogo con M5S e Terzo Polo.
“Noi da soli non ce la facciamo. Riscopriamo la vocazione maggioritaria ma non deleghiamo al M5S e al Terzo Polo. Nessuno ce la fa da solo, ma le battaglie dobbiamo farle insieme, solo così possiamo battere le destre. Insieme rappresentiamo l’alternativa. Il Pd deve essere individuato come il partito del lavoro. Anzi, dobbiamo essere ossessionati dall’urgenza di essere il partito del lavoro. Senza imprese non c’è lavoro, non dimentichiamolo. Serve il salario minimo. Dobbiamo avviare una raccolta firme per una legge d’iniziativa popolare per il salario minimo. E aggiungo che il lavoro deve costare meno, si devono aiutare le imprese ad assumere a tempo indeterminato. La mia idea è la decontribuzione secca per le nuove assunzioni e per chi investe in territori meno avvantaggiati”.
Non dice no al Reddito di cittadinanza ma va modificato in quella parte che finora è mancata, la realizzazione di quei percorsi che portano al lavoro.
“La prima dignità è poter lavorare. In Emilia Romagna nel 2016 abbiamo istituito il reddito di solidarietà che però andava di pari passo con percorsi formativi”.
I due pilastri restano il diritto all’istruzione ed il diritto alla sanità. E a proposito di diritti il Pd deve spendersi per quelli civili senza mettere in secondo piano quelli sociali.
Quanto alla diatriba sul nome del partito Bonaccini ha ricordato che il problema non è la forma, non è cambiando la forma che si vince nelle urne. E ha aggiunto che la parola democratico è molto bella e attuale in un’epoca in cui la democrazia è in pericolo in molte zone del mondo, da Brasilia all’Iran e in Europa c’è la guerra. “Io la parola democratico la terrei cara”.
Il nome non è la priorità e poi un impegno finale: “Noi al governo ci andremo solo quando vinceremo le elezioni”.