Non ho un’opinione particolare su Chiara Ferragni, né nel bene, né nel male. E’ senza dubbio un’ottima imprenditrice, una bella donna, impegnata nel sociale ed in battaglie per i diritti. Regina del marketing non sbaglia una mossa e lo ha dimostrato a Sanremo dove ha portato il suo brand ed il suo messaggio alle donne.
Il monologo ha suscitato reazioni da tifoserie tra chi la detesta a prescindere da quel che dice e fa e chi la ama senza se e senza ma.
A me è sembrato un compitino fatto bene, senza vette né cadute, abbastanza banale nei contenuti e senza particolari spunti di riflessione o critiche.
Certo, la domanda che mi pongo è perché le donne a Sanremo continuano ad essere co-conduttrici, con quel “co” che sa di spalla. Insomma essere “vice” per sempre.
Se non sei cantante e ti chiamano per Sanremo ti toccano due cose.
1) essere co-conduttrice (solo una sera) o se sei famosa come la Ferragni per due sere. Già questo non ha alcun senso logico se non considerare la donna incapace di reggere il peso di 4 sere se non da casa sul divano con la copertina sulle gambe.
2) devi fare il monologo per dimostrare che oltre ad essere bella sei pure intelligente e hai qualcosa da dire.
Quindi se una come la Ferragni è bella ed è anche intelligente ma con l’arte del monologo proprio non ci sa fare ne viene fuori un tema da scuola media.
Più che sul monologo, che ho condiviso perché le tematiche sono quelle della libertà delle donne di essere se stesse, vorrei soffermarmi sul “rafforzativo” che è il pezzo forte di un’influencer come lei: i messaggi che passano attraverso le immagini. Quindi l’abito che indossava e che ha definito il “vestito della vergogna”, perché sembrava non averlo. Il messaggio è chiaro: donne di ogni età accettatevi per come siete, non guardate il corpo come nemico e non lasciate che i giudizi degli altri vi feriscano. Benissimo. Condivido.
Io però, che sono una donna comune, vado per i 56 anni e verso la taglia 46, penso che Chiara Ferragni con quel vestito non sia stata rivoluzionaria. Avrebbe dovuto osare di più.
Se hai un fisico da top model quell’abito lo puoi indossare benissimo. Sei bellissima anche se vai in giro in pigiama o con un sacco di tela.
Quando si parla di body shaming, quello cioè che le donne, le adolescenti e ragazze normali affrontano quotidianamente, è noto che i riferimenti sono i rotolini di ciccia, la cellulite, i fianchi rotondi, le cosce carnose, il seno abbondante, il lato B troppo grande.
Insomma, lo sappiamo benissimo che il body shaming colpisce donne che non hanno taglia 40, non sono top model o atlete. Non siamo ipocriti.
Il vero messaggio rivoluzionario sarebbe stato se Chiara Ferragni avesse avuto davvero una taglia 48 (o persino una 42 larga) e avesse indossato con la stessa disinvoltura e determinazione quell’abito. E’ molto più facile invitare ad accettarsi per quello che si è se a dirlo è una stangona filiforme bionda e senza un’ombra di grasso in nessuna parte del corpo.
Il guaio è che se mandi questo messaggio alle ragazze che ti considerano un mito da seguire e lo mandi con quel vestito le destinatarie prenderanno il modello in toto. Penseranno che la perfezione sia il modello da seguire e che per farti accettare, essere felice e libera devi “essere” in quel modo. A tutti i costi.
Eh no. Le donne lo sanno bene che la battaglia è molto ma molto più dura se sei sovrappeso e che il body shaming mina le basi dell’autostima sin da quando hai 12 anni e sei sui banchi di scuola e sei quella bambina alla quale la Ferragni ha scritto e i compagni ti gridano dietro “scala la ciccia”. Dillo a lei d’indossare quell’abito senza lasciarsi ferire dalle parole degli altri.
Sono certa che se un’imprenditrice di successo, una tosta, bella come la Ferragni, ma con una decina di chili in più si fosse presentata sul palco di Sanremo con un monologo più profondo, ma con LO STESSO ABITO che lasciava vedere un seno più grande, fianchi larghi, la pancia, non l’avrebbero fatta salire.
Peccato, perché sarebbe stato quello il vero messaggio rivoluzionario.
Quando su quel palco e con quell’abito salirà una taglia 48 per fare lo stesso discorso della Ferragni allora sì che ci saremo.
Con questo non voglio sminuire il monologo di Chiara Ferragni né il suo percorso professionale perché per me più si parla di pari opportunità e meglio è. Ma la standing ovation l’ho fatta ad un’altra Chiara, Chiara Francini, una donna che viene dalla vita reale, quella che arriva a 40 anni e non ha figli perché le donne reali sanno cosa vuol dire essere donna, avere ambizioni, lavorare, far carriera e farla coincidere o convivere con la maternità. Le scale di Sanremo non le ha volute scendere ma salire, ha vestito abiti eleganti senza scritte o nude look e il messaggio è stato tutto in parole che uscivano dritte dalla sua vita e dalla sua pancia.
Chiara Francini ha parlato a quelle donne che sono in ufficio, per strada, nelle case, nei bus, nei negozi, nelle fabbriche, nei cda, studiano, combattono per affermarsi nella loro NORMALITA’ e nella loro diversità che ha centinaia di sfaccettature.
Verso la fine, parlando a quel figlio non avuto e che forse non avrà, ha detto: “quanto mi è costato diventare come sono?”
Un messaggio più vero e più forte di qualsiasi nudità, che guarda dritto al sodo e dice che, qualsiasi sia la tua strada, il tuo peso, il tuo corpo: i tuoi sogni ti costeranno tutti. Lascerai per strada qualcosa e devi prepararti perché i tuoi sogni costano perché sei donna. E un giorno ti toccherà accettare di fare la co-conduttrice a Sanremo o la vice di qualcuno e sarà comunque occasione da non perdere perché le battaglie si vincono un pezzo per volta e per troppo tempo non abbiamo avuto voce. E anche se sei brava, intelligente, colta e brillante ti tocca leggere un monologo per dimostrare che hai il cervello.
Chiara Francini ha dimostrato che alle donne intelligenti non serve un vestito (o un non-vestito) per vincere.