Le difficoltà ti forgiano, ti fanno crescere prima. E Antonino Alibrandi, per tutti Nino, segretario generale della Cisl, nato e cresciuto in una delle periferie di Messina più di “frontiera”, sindacalista formatosi tra i metalmeccanici, rimasto orfano di padre, ucciso dalla mafia, a soli 14 anni, ha trasformato le difficoltà in forza, in energia per maturare. Quel che ha imparato dalla vita è la capacità di credere nel cambiamento e nella rinascita. Da segretario generale della Cisl è impegnato in nuove azioni nel territorio, scommette molto sui giovani, sul contatto diretto con la base, sempre e comunque.
Si definisce sindacalista operaio, perché in fondo, gli anni in prima linea con i metalmeccanici sono stati per lui un vero e proprio allenamento: “Sono un operaio e lo resterò per sempre, sono un operaio sociale, anche nel sindacato. Sono stato segretario dei metalmeccanici e quella è una palestra sindacale. Oggi da segretario generale ho un ruolo più politico in un certo senso. Ma mi manca stare con i lavoratori in fabbrica, stare con le persone, sentire i bisogni diretti di chi vive un problema, provare a risolverli insieme e poi se ci riesci quando torni a casa sei felice perché sei riuscito ad aiutarli. Anche il confronto è importante, non pensarla tutti allo stesso modo ma saper ascoltare. Per me il sindacato è una cosa nobile come lo era la politica. Il sistema va tutelato perché è sinonimo di democrazia, libertà, partecipazione. Certo bisogna fondare un modello nuovo e nuovi modi di agire, partendo dalle riflessioni sul lavoro che cambia, sul ruolo dell’innovazione, sui nuovi mestieri. E’ fondamentale agire sul piano della formazione e dell’incrocio tra offerta e domanda nei diversi territori”.
Cresciuto in periferia, in una zona difficile come Ritiro, il suo motto è “non bisogna mai scordarsi le origini, nelle periferie ci sono i valori e le persone, le risorse. Come Cisl abbiamo voluto dare un’impronta diversa. Stiamo aprendo nuove sedi decentrate nelle periferie e ne abbiamo rivitalizzate altre. Vogliamo costruire punti di rete sociale, per dare servizi e diventare punto di legalità e aggregazione sociale, per valorizzare la zona e i giovani”.
Con i giovani ha lavorato molto, portando avanti come sindacato sinergie con gli istituti tecnici ed aziende di calibro nazionale ed internazionale che grazie a tirocini di alta specializzazione hanno fatto sì che gli studenti abbiano trovato occupazione in imprese in tutta Italia.
Legatissimo alla famiglia, alla moglie Ketty ed ai due figli Carol e Cristian “è lui a 9 anni, appassionato di storia a portarmi in giro per Messina e farmi conoscere i posti”, Nino Alibrandi ha perso il papà Angelo il 28 febbraio del 1990, ucciso dalla mafia.
Angelo Alibrandi era conducente di autobus e stava lavorando come camionista per una ditta di movimento terra. Il 28 febbraio del 1990 i killer entrarono in azienda e spararono al suo datore di lavoro e poi a lui, che era accorso sentendo gli spari. Ucciso a 44 anni perché testimone scomodo di un omicidio di mafia.
“ Il 28 febbraio è il compleanno di mia madre. Lui fu ucciso quel giorno, di questo io riesco a parlarne solo da poco tempo. Ho perso mio padre due volte. La prima quando lasciò mia madre, così non viveva più con noi. La seconda quando la mafia lo ha ucciso. L’ultima volta lo vidi un paio di giorni prima della sua morte, era passato da casa per chiedere scusa a mia madre. Io ero tornato da scuola, lui mi abbracciò forte, fu l’ultima volta che lo vidi. Si parla sempre di vittime di mafia, ma si parla sempre di quelle più conosciute. Devo ringraziare Libera, Tiziana Tracuzzi perché ora il nome di mio padre è inserito nell’elenco delle vittime innocenti di mafia. Oggi è diverso, ma da ragazzo è stato difficile, erano gli anni ’90. Vivevo in periferia ed ero additato. Mio padre è stato riconosciuto vittima di mafia dopo 20 anni, combattere il pregiudizio è stata dura. Ma oggi è un momento di riscatto per mio padre. Noi non ne e avevamo bisogno, mai avuto dubbi, ma venivo visto in un certo modo”.
Il riscatto in nome del padre e per il padre. E la sua vita è diventata anche un modo per continuare quel percorso che sin da bambino gli ha indicato la mamma che ha cresciuto da sola, tra tanti sacrifici, tre figli.
“Ricordo che per me la festa del papà era un dramma, ma queste cose ti forgiano, la vita ti accelera, le cose che non hai fatto con il papà le fai da solo. Mio papà mi ha lasciato la capacità di credere nel valore delle persone. Ma devo tutto a mia mamma, che ha fatto da papà e da mamma. Una donna straordinaria, su di lei si potrebbe scrivere un libro. Ha cresciuto tre figli benissimo, in un quartiere particolare. Non ha mai perso la barra, ci ha cresciuti con dignità, ci ha sposati con tanti sacrifici, ci ha insegnato il valore delle cose che non è quello dei soldi. Lei ha sempre fatto beneficenza, io non so come ci riesca ancora oggi con la sola pensione. Ha un cuore enorme, d’altri tempi”.
Molte le battaglie della Cisl per la sanità in tutta la provincia dove i presidi storici sono a rischio sotto i colpi dei tagli. “In atto c’è un sistema sanitario che non è funzionale al fabbisogno territoriale, noi vediamo gli effetti ma le cause sono dovute a 20 anni di tagli, che hanno prodotto questo, gli operatori scappano, c’è un progressivo depotenziamento. A Barcellona mentre eravamo in corteo con Carmelo La Malfa, uno dei pilastri del sindacato degli anni ’80 e ’90, mi ha fermato un bambino e mi ha detto: segretario voglio che il mio fratellino nasca qui perché così sulla carta d’identità c’è scritto Barcellona e non un altro posto. Noi siamo di Barcellona. Qui c’è una rete sanitaria da rivisitare, bisogna lavorare pancia a terra”.
Se gli chiedi quale sia la più grande sconfitta sindacale spiega che la cosa che più fa male, che brucia, è che “Messina ha abbassato la guardia sul potenziale che ha, ci siamo rassegnati alla distruzione della cantieristica navale. A Piazza Cairoli avremmo dovuto avere come simbolo il primo aliscafo della Rodriquez, invece abbiamo la griglia per le braciole….. Abbiamo perso la memoria, noi che abbiamo costruito il primo aliscafo del mondo, abbiamo avuto i Palumbo, la cantieristica, la Smeb. A Terni nella piazza centrale c’è la vecchia pressa dell’acciarieria, a Maranello c’è il cavallino rampante. Noi cancelliamo la storia. Il primo aliscafo è stato costruito nel 1856, la Rodriquez ha superato terremoti e due guerre mondiali ma non ha superato l’incapacità di valorizzare le nostre risorse. Stesso discorso vale per la Sanderson, Birra Messina, Cundari, Schipani, San Pellergrino, Molini Gazzi. C’era un mondo industriale, oggi il sistema è drogato, si basa solo su reddito da pubblica amministrazione e sui pensionati. Abbiamo perso 30 mila posti di lavoro e ci arrovelliamo solo in discussioni che creano aspettative ma non cose concrete. Ma io dico, guardiamo alla capacità di farcela, di non arrendersi, di cambiare”.