Il visitatore che a Palermo passeggi per Via Maqueda o per il Cassaro, e si trovi in un momento catapultato nella teatrale architettura di piazza Vigliena, ai Quattro Canti cioè, e che volesse fermarsi a leggere le fitte scritture delle lapidi marmoree che campeggiano sulle quattro facciate angolari, soprattutto se detto visitatore è originario di Ficarra, avrà meraviglia e stupore nel leggere proprio il nome del paese dei Nebrodi in uno dei testi. Di questo fatto in pochissimi sono al corrente.
Dai quattro canti originano quattro quartieri e si aprono altrettanti mandamenti. Come è noto, i quattro cantoni presentano specularmente, in un trionfo di statue, intagli, nicchie, colonne e cornici, degli elementi ricorrenti. Come in un crescendo rossiniano, gli spartiti di pietra intrappolano segni e simboli. E come in un pentagramma, l’occhio immediatamente va a una fontana, che rappresenta uno degli antichi fiumi che attraversavano la città, prosegue sfiorando e seguendo i contorni di una una statua allegorica di una stagione, salta ancora su una lapide commemorativa in marmo, raggiunge un altro registro e scorge la severa statua di un re spagnolo, si posa poi sullo sguardo rassicurante di una delle sante protettrici di Palermo e si ferma sull’altero stemma in cima al piano attico.
È nel canto di Nord, punta del quartiere della Loggia e che fa riferimento al mandamento di Castellammare, che si trova il riferimento a Ficarra. In questo Canto la fontana ricorderebbe il fiume Papireto, mentre la statua allegorica, coronata di grappoli d’uva, simboleggia l’autunno. Dunque la lapide marmorea e nel secondo ordine la statua di Filippo IV, nel terzo quella di santa Oliva ed infine il prestigioso stemma vicereale dei De Castro.
Immediatamente sopra quell’autumni signum quod gestat uvis redundantem calathum, cioè il simbolo dell’autunno che porta un cesto traboccante di uva, come ben descriveva il cardinale Manfredi Baronio nei suoi Annali ecclesiastici nel 1618, la lapide marmorea, ove si legge la seguente iscrizione: «Philippi III ecc. quod justus alienae gloriae favens nec suis diffidens virtutibus optimo exemplo, aream villenam affectat omnino perfecit et perpoliri jusserit ob nusquam visum alibi urbis absolutum ornamentum s.p.q.p. […] D. Francisco Lanza Barone Ficarrae pp. q. conscript. 1620». Dalla traduzione, approntata da chi scrive, desumiamo che l’epigrafe reca: «Filippo III [regnante, ndr] ecc…Poiché giusto, favorendo l’altrui gloria né diffidando del suo valore per l’ottimo esempio prende piazza Villena, l’ha perfezionata completamente e l’ha fatta ripulire , per il fatto che in nessun altro luogo della città si vide un compiuto ornamento. Senato e Popolo di Palermo. [nomi di senatori, ndr] D. Francesco Lanza, barone di Ficarra PP. Q. scrisse 1620». Piazza Quattro Canti è denominata anche Vigliena per via del nome del vicerè spagnolo sotto il quale fu ultimata la prima costruzione nel 1620, come ci dice la lapide, costruzione iniziata nel 1608 su progetto di Giulio Lasso e ultimata nel 1621. All’epoca, Francesco Lancia barone di Ficarra, era senatore, e sedeva nel parlamento come “primo barone del Regno”, in virtù dell’antichità del suo titolo.
Di questa figura conosciamo alcune sommarie informazioni, mutuate dal Villabianca (1754) e dal Lancia (1879). Oltre al fatto che altre due lapidi con il suo nome e titolo di Barone della Ficarra erano collocate sempre a Palermo una a Palazzo dei Normanni, l’altra a Palazzo Ajutamicristo, oggi distrutte, sappiamo che era figlio di Fabrizio Lancia Afflitto e di donna Anna Alliata. Sommersa la famiglia dai debiti, a Francesco Lancia rimasero soltanto Ficarra e Piraino, che aveva avute in donazione nel 1596. Persa anche Piraino pur di salvare Ficarra, prese possesso della “Baronia, Terra e Castello di Ficarra” con atto redatto dal notaio ficarrese Gaspare Marraffa l’8 settembre 1619, mentre ne fu investito ufficialmente il 6 febbraio 1622. All’epoca, seppur in declino, i Lancia erano ancora tra le famiglie più ricche e potenti di Sicilia, e lo stesso Francesco aveva in Palermo numerosi beni. Tra il 1612 e il 1613 e il 1618 e il 1619, fu Governatore del Monte di Pietà. Proprio nel 1618 fu eletto senatore, rimanendo in carica per il biennio 1618-1620, quando fu completato il cantone della Loggia appunto. Anche rettore della palermitana Arciconfraternita di Santa Maria Annunziata di Porta de Castro, sposò Francesca Settimo, da cui ebbe un unico figlio, Fabrizio. Morì nel 1638, ma il ricordo della sua esistenza è stato fermato ed eternato nella lapide del Canto dell’Autunno. Quasi a ricordarci il peso e il valore della memoria del passato.
Vittorio Tumeo