La Sicilia è sempre al centro dell’attenzione quando si tratta di analizzare la spesa sanitaria e assistenziale in Italia. Nel Settimo Rapporto “La Regionalizzazione del Bilancio Previdenziale italiano” condotta dal Centro Studi “Itinerari Previdenziali” presentata mercoledì 7 novembre, nella ripartizione territoriale delle spese della Sicilia e nelle regioni italiane dal 1980 al 2021 emerge l’elevato costo dell’assistenza sanitaria e una spesa assistenziale superiore rispetto al resto d’Italia.
Il paradosso della Sanità siciliana: storie di spese elevate e radici profonde
La Sicilia si trova di fronte a un enigma persistente: l’elevato costo dell’assistenza sanitaria. Un paradosso che affonda le radici nella storia della regione e si manifesta in una spesa assistenziale superiore rispetto alle altre regioni italiane.
Uno dei fattori chiave di questo enigma è la complessità delle dinamiche socio-economiche siciliane, caratterizzate da secoli di sfide economiche, instabilità politica e cambiamenti demografici. L’eredità di queste vicissitudini storiche si riflette nella struttura socio-economica attuale, creando uno scenario in cui le necessità sanitarie sono più pressanti, richiedendo risorse significative.
La presenza di problemi strutturali nella gestione della sanità siciliana è evidente. La burocrazia complessa e la carente pianificazione hanno contribuito a un sistema che spesso si trova a lottare per affrontare le sfide emergenti. Le disparità socio-economiche all’interno della regione aumentano ulteriormente il carico sulla sanità, con alcune aree che richiedono interventi più intensivi rispetto ad altre.
Le cause storiche di questo fenomeno sono profonde. La Sicilia ha attraversato periodi di dominazione straniera, movimenti migratori e cambiamenti economici radicali. Queste trasformazioni hanno plasmato la struttura sociale e economica, influenzando il benessere generale e la salute della popolazione.
Un elemento cruciale è l’alto tasso di disoccupazione e l’economia informale, che rendono difficile per molte persone accedere a servizi sanitari privati. Ciò ha aumentato la pressione sui servizi pubblici, contribuendo all’elevato fabbisogno di assistenza sanitaria finanziata dallo Stato.
L’isolamento geografico di alcune comunità siciliane, in particolare le aree interne, ha anche inciso sulla facilità di accesso ai servizi sanitari. Questa situazione ha reso necessario un maggior impegno finanziario per garantire che anche le aree remote ricevano l’attenzione sanitaria necessaria.
Affrontare questa sfida richiede un approccio complessivo. Investimenti nella modernizzazione delle infrastrutture sanitarie, la semplificazione dei processi burocratici e la promozione di programmi di prevenzione potrebbero contribuire a ridurre la pressione finanziaria.
Al contempo, un esame approfondito delle cause storiche e socio-economiche può informare politiche mirate a risolvere le radici del problema.
In questi dati, il rapporto del Centro Studi “Itinerari Previdenziali” aiuta a comprendere il paradosso della spesa sanitaria siciliana, facendo emergere una storia complessa che intreccia passato e presente, sfide e opportunità. Una narrativa che, speriamo, possa guidare la regione verso soluzioni sostenibili per garantire un futuro più sano e prospero per i siciliani.
In questa parte dell’analisi procediamo alla ripartizione territoriale della spesa sanitaria e di una parte della spesa assistenziale relativa: alle pensioni di invalidità e alle indennità di accompagnamento, alle pensioni e assegni sociali, alle pensioni di guerra e al reddito di cittadinanza. Cercheremo di verificare se esiste una correlazione diretta tra i saldi regionali negativi e la quantità di prestazioni assistenziali erogate che non sono supportate da entrate contributive.
La spesa sanitaria in Sicilia e nelle altre Regioni
Nel dettaglio, la spesa sanitaria italiana ha conosciuto una crescita costante nel decennio 2012-2021, aumentando a un tasso medio annuo dell’1,5%. Questo incremento ha portato la spesa totale da 110,4 miliardi di euro nel 2012 a 126,6 miliardi nel 2021. Ciò ha avuto un impatto significativo sulla spesa pro capite, che è passata da 1.837 euro a 2.138 euro nello stesso periodo. Tuttavia, va notato che la popolazione è diminuita di poco meno di 2 milioni di abitanti in dieci anni, scendendo da 60,1 milioni a 59,2 milioni.
Nel contesto delle regioni italiane, la Sicilia gioca un ruolo cruciale. La regione ha registrato una spesa pro capite di 2.057 euro nel 2021, confermandosi tra le regioni con spesa sanitaria rilevante. Nonostante i problemi finanziari, la Sicilia continua a impegnarsi nella fornitura di servizi sanitari essenziali.
Tra le regioni italiane, la Lombardia spicca come la regione con la spesa sanitaria maggiore, costantemente intorno al 17% del totale nazionale nel decennio. Tuttavia, la Sicilia si colloca tra le regioni con una spesa pro capite notevole, dimostrando l’impegno verso la sanità nella regione.
Nel rapporto si sottolinea anche la mobilità sanitaria interregionale, cioè il fenomeno delle persone che cercano cure fuori dalla loro regione di residenza percepita come dotata di servizi sanitari migliori. Nel 2021, questa mobilità sanitaria secondo il Portale statistico di Agenas è di poco al di sotto dei 2,5 miliardi di euro – in aumento rispetto al 2020 – e al di sotto dei valori degli anni 2017, 2018 e 2019.
Sono 14 le Regioni che hanno saldi negativi: tutte le regioni del Sud con in testa la Campania che nel 2021 registra un saldo negativo di 185,7 mln; segue la Calabria (-159,5 mln), la Sicilia (-109,6 mln), la Puglia (-87,6 mln), l’Abruzzo (-49,5 mln), la Basilicata (-40,3 mln), la Sardegna (-34,4 mln); in rosso anche le piccole realtà regionali con in testa la Liguria (quinto posto con -60,7 mln), seguita da Marche (-21,1 mln), Umbria (-9,8 mln), Valle d’Aosta (-7,1 mln), Friuli Venezia Giulia (-6,8 mln) e le piccole province autonome di Bolzano (-4,3 mln) e di Trento (-0,03 mln).
A guadagnarci di più dalla mobilità è l’Emilia-Romagna con un saldo attivo di 293,9 mln seguita da Lombardia con un +274,9 mln, Veneto (+102 mln), Toscana (+38,1 mln), Lazio (+34,2 mln), Piemonte (24,8mln) e il Molise che pur essendo una realtà molto piccola ha un attivo di +8,7 mln.
Tuttavia, è importante notare che la Sicilia è una delle regioni italiane soggette al piano di rientro per razionalizzare la spesa in eccesso, suggerendo la necessità di migliorare l’accesso ai servizi sanitari in loco. Nella stessa situazione si trovano anche il Lazio, l’Abruzzo, il Molise, la Campania, la Puglia, la Calabria.
Piemonte, Lombardia, Veneto, Liguria, Emilia-Romagna, Toscana, Umbria, Marche e Basilicata sono invece le regioni non sottoposte al piano di rientro. Mentre la Valle d’Aosta, Friuli-Venezia Giulia, Sardegna e le province autonome di Trento e Bolzano sono classificate tra le autonomie speciali in quanto provvedono a finanziare l’assistenza sanitaria sul loro territorio autonomamente con le imposte che si trattengono.
In termini di bilancio regionale, il rapporto mette in evidenza che sono 14 le regioni italiane con saldi negativi, con la Campania in testa nel 2021 con un saldo negativo di 185,7 milioni di euro. La Sicilia si posiziona anche tra le regioni in rosso con un saldo negativo di 109,6 milioni di euro. Questi dati indicano la sfida che molte regioni italiane affrontano nella gestione della spesa sanitaria e assistenziale.
In conclusione, l’analisi della spesa sanitaria e assistenziale nelle regioni italiane rivela l’importanza di migliorare l’equità nell’accesso ai servizi sanitari e l’efficienza nella gestione delle risorse. La Sicilia, nonostante le sfide, continua a essere una regione che gioca un ruolo significativo in questo contesto. La necessità di una maggiore sostenibilità e una migliore gestione delle risorse diventa evidente alla luce di questi dati.
La spesa assistenziale in Sicilia e al Sud
La Sicilia emerge come una regione con peculiarità significative nell’ambito dell’assistenza sociale. Nel 2022, la spesa per le pensioni di invalidità civile e le indennità di accompagnamento rivela una realtà dove il Sud rappresenta il 54,2% delle pensioni, superando le regioni più industrializzate.
Le cifre parlano chiaro: nonostante il Sud ospiti il 33,7% della popolazione italiana, detiene oltre la metà delle pensioni di invalidità civile. La Campania, insieme a Sicilia e Puglia, si posiziona al vertice, evidenziando una sfida assistenziale significativa. Mentre il Nord e il Centro presentano distribuzioni più omogenee, la Sicilia evidenzia una serie di problematiche legate alla povertà educativa, alla stabilità finanziaria e all’occupazione informale.
Le indennità di accompagnamento nel Sud sono erogate a una prestazione ogni 19,8 abitanti, sottolineando una rete di supporto necessaria mentre al Centro una ogni 22,7 abitanti e al Nord una ogni 33,3 abitanti.
Passando alle pensioni ed assegni sociali per gli ultra-sessantasettenni sprovvisti di reddito, il Sud si distingue con il 56,8% delle prestazioni. Campania, Puglia, e Sicilia emergono come casi limite, con una distribuzione assistenziale elevata rispetto alla popolazione. La Campania assiste un cittadino ogni 6,1 abitanti, indicando una realtà di supporto esteso.
La distribuzione delle pensioni di guerra sia dirette sia indirette ancora in pagamento nonostante la guerra sia finita nel 1945 (ci sono anche pensioni per fatti militari più
recenti), che presenta una ripartizione più equilibrata anche se con una spesa complessiva e pro capite maggiore al Sud.
Per quanto riguarda le invalidità civili, i risultati della distribuzione territoriale sono evidenti: il Sud con il 33,7% della popolazione italiana detiene il 54,2% delle pensioni di invalidità civile, nonostante sia molto meno industrializzato e con minore occupazione (era il 52% nel 2015); il Centro con il 19,9% della popolazione ha il 18,5% di invalidi mentre il Nord con il 46,4% della popolazione ha il 27,4% di invalidi. La Campania, seguita da Sicilia e Puglia, sono le regioni con il maggior numero di invalidi civili (oltre 164 mila, contro i 107 mila della Lombardia); la Sardegna con circa 1,6 milioni di abitanti ha quasi la metà delle pensioni di invalidità della Lombardia che ha circa 10 milioni di abitanti.
Per quanto riguarda il dato delle pensioni di invalidità, al Nord è in pagamento una pensione di invalidità ogni 95 abitanti, al Centro una ogni 60 abitanti e al Sud una ogni 35 abitanti. A livello territoriale la spesa ha la medesima distribuzione percentuale.
Nel panorama del Reddito e della Pensione di cittadinanza, il divario persiste, con il 66,3% della spesa concentrata nel Sud. La Sicilia, nonostante la sua ricchezza culturale, si trova a gestire sfide complesse di sostenibilità e stabilità finanziaria in questo contesto assistenziale. I beneficiari della pensione di cittadinanza a fine 2021 erano 169.413 nuclei familiari per un totale di persone coinvolte di 191.878 e per un importo medio mensile pari a 277,35 euro; i beneficiari del reddito di cittadinanza nella stessa data erano 1.602.576 nuclei familiari per un totale di 3.765.314 persone coinvolte e con un assegno mensile di 577,60 euro.
In conclusione, la Sicilia si presenta come un nodo cruciale nel quadro dell’assistenza sociale italiana. Comprendere appieno il tessuto socio-assistenziale siciliano è essenziale per plasmare politiche mirate e garantire un futuro sostenibile per la regione.
Infine importante si rivela il dato della distribuzione territoriale della spesa per assistenza sociale a carico della fiscalità generale sostenuta dagli enti locali, Comuni, Province, Regioni e Comunità montane, con esclusione della spesa sanitaria.
Anche la spesa assistenziale, come quella sanitaria, in assenza di contributi di scopo, è finanziata dalla fiscalità generale; in questa parte è “regionalizzata” la spesa per le invalidità civili (pensioni di invalidità e indennità di accompagnamento), le pensioni e gli assegni sociali e le pensioni di guerra; inoltre è regionalizzata la spesa per il Reddito di Cittadinanza e la pensione di cittadinanza mentre, sulla base alla distribuzione regionale delle invalidità, si è regionalizzata la spesa per welfare degli enti locali, pari per il 2021 a 11,5 miliardi.
Tutte queste prestazioni sono esenti da imposizione fiscale per cui le uscite sono effettive. Il totale delle spese qui evidenziate verrà inserite, assieme alle entrate fiscali illustrate nel successivo capitolo, nel più complessivo bilancio previdenziale che contiene contabilmente il bilancio pensionistico calcolato nei precedenti capitoli.
La distribuzione regionale è stata realizzata suddividendo la spesa di 11,5 miliardi di euro sulla base della distribuzione regionale delle pensioni di invalidità che è la spesa che più si avvicina a quella puramente assistenziale erogata dalle regioni; si stima che il Sud detenga il 54% circa della spesa totale.
Le correlazioni tra saldi contabili regionalizzati e tipologia delle prestazioni
Dall’analisi sui dati regionalizzati relativi alle entrate e uscite INPS gestioni private (capitolo 1)emerge una evidente disomogeneità tra le 3 macroaree del Paese che con qualche lieve variazione riguarda sia l’anno in esame, il 2021, sia l’intero periodo di osservazione; peraltro, tale disomogeneità si riscontra anche per le gestioni INPS dipendenti pubblici ex INPDAP (capitolo 3) sia per le gestioni privatizzate relative alle Casse dei liberi professionisti (capitolo 4);
possiamo così sintetizzare l’andamento di medio lungo periodo:
- a) Nel 2021 il 64,03% del totale delle entrate proviene dalle 8 regioni del Nord; il 20,03% dalle 4 regioni del Centro e il 15,9% dalle 8 regioni del Sud.
Sulle uscite totali il Nord assorbe il 57,6%, il 19,7% al Centro e il 22,7% del Sud che presenta uscite quasi doppie rispetto alle entrate; conseguentemente il saldo tra entrate e uscite per il 2021 presenta un disavanzo complessivo di 33,96 miliardi di cui il Sud assorbe il 52,06% per 17.68 miliardi, il Centro produce il 18,45% del deficit e il Nord il 29,49% del deficit.
In rapporto alla popolazione lo Stato, per il solo sistema pensionistico, trasferisce ad ogni abitante del Sud 886 euro l’anno contro i 531 del Centro e i 364 del Nord;
- b) nel 2015 il 63,5% delle entrate contributive proviene dalle regioni del Nord contro il 20,2% del Centro e il 16,44% del Sud; sul versante delle uscite il Nord pesa per il 55,9% mentre Centro e Sud rispettivamente 19,7% e 24,4%.
Il saldo tra entrate e uscite (-42,1 miliardi di euro) vede le tre macroaree con passivi pari rispettivamente a 13,1, 7,9 e 21 miliardi. Traducendo in procapite (tabella 1.2) per ogni cittadino del Nord lo Stato spende 474 euro l’anno contro i 658 del Centro e 1.008 (più del doppio) del Sud;
- c) nel periodo 1980-2015 la situazione è rimasta nelle percentuali la stessa, pur presentando piccole variazioni (al netto di quanto diremo nelle conclusioni);
- d) i disavanzi annuali dell’intero periodo di 36 anni calcolati in moneta 2015 evidenziano che quasi i 2/3 delle passività previdenziali – assistenziali, sono imputabili al Sud;
- e) in generale per ogni 100 euro di prestazioni incassate il Sud, pur con qualche miglioramento, ne paga circa il 50%.
Ma quali sono le cause di questa situazione di permanente squilibrio regionale dei conti previdenziali?
In Italia, la questione dei conti previdenziali rivela uno squilibrio regionale persistente, con il Sud e le Isole, in particolare la Sicilia. L’analisi evidenzia che le differenze nei saldi regionali sono strettamente legate alla natura delle prestazioni erogate. Nelle regioni del Nord, prevalentemente caratterizzate da saldi positivi e tassi di copertura intorno al 70%, le prestazioni sono in gran parte di tipo “previdenziale”, supportate da contributi effettivamente versati.
Al contrario, nelle regioni del Sud, dove i saldi sono fortemente negativi, emergono le prestazioni di tipo “assistenziale”. Questa situazione è influenzata dalle carriere lavorative discontinue, spesso assistite, con periodi di lavoro irregolare e basse contribuzioni. Nel Sud e nelle Isole, le pensioni assistenziali rappresentano circa un terzo delle pensioni in pagamento, contro un’incidenza inferiore nel Nord e nel Centro.
La Sicilia, in particolare, riflette questa tendenza, presentando un tasso di copertura del 63,55% e una prevalenza di integrazioni al minimo. La deindustrializzazione pubblica e privata ha contribuito alla presenza di carriere discontinue, soprattutto nei settori turistico e balneare, con modesti contributi e maggiore dipendenza dalle prestazioni assistenziali.
Il confronto tra Nord e Sud rivela disparità significative. Nel Nord, dove risiede il 46,4% della popolazione, prevalgono le pensioni di anzianità, sostenute da contributi più consistenti e caratterizzate da una media di 37 anni di contribuzione. Al contrario, nel Sud, con il 33,7% della popolazione residente, spiccano le pensioni assistenziali, riflesso di carriere lavorative meno stabili e con contribuzioni più basse.
La situazione è ulteriormente evidenziata dal valore pro-capite delle prestazioni. Le pensioni di anzianità nel Nord hanno un valore pro-capite del doppio rispetto al Sud e alle Isole. La diffusione limitata di queste prestazioni nel Sud riflette carriere modeste e periodi frequenti di sostegno al reddito per inoccupazione.
I dati sull’importo medio delle pensioni confermano le disparità regionali.
Le pensioni di vecchiaia al Sud, in particolare in Sicilia, presentano valori allineati o superiori alla media nazionale, ma le pensioni di invalidità previdenziale mostrano importi più alti al Nord e al Centro. Nel complesso, la Sicilia si distingue per una maggiore incidenza di prestazioni assistenziali, contribuendo significativamente al totale nazionale di trattamenti assistenziali.
C’è un’evidente disparità notevole tra Nord e Sud, con le pensioni di invalidità previdenziale al Nord che sono circa un terzo di quelle del Sud. La tabella 6.10 rivela che, passando dagli importi “procapite” agli importi medi delle pensioni, le differenze tra le regioni si riducono, ma alcune regioni del Sud, tra cui la Sicilia, presentano valori superiori alla media nazionale.
Inoltre, emerge che molte prestazioni assistenziali sono erogate contemporaneamente a pensioni previdenziali a causa di una modesta contribuzione, rappresentando oltre il 50% del totale delle prestazioni INPS. Nel Sud, 3,664 milioni di trattamenti assistenziali sono totalmente o parzialmente assistiti, evidenziando una maggiore dipendenza da prestazioni di natura assistenziale rispetto al Nord e al Centro.
La Sicilia si colloca al centro di queste dinamiche, contribuendo in modo significativo alle prestazioni assistenziali. In un contesto nazionale che richiede una revisione rigorosa della spesa sociale, è cruciale comprendere come la Sicilia, insieme al Sud, rappresenti una parte significativa delle prestazioni assistenziali. Questi dati sollevano interrogativi importanti sul bilancio e la sostenibilità a lungo termine del sistema previdenziale e assistenziale, richiedendo un approccio attento e mirato per affrontare le sfide regionali.
Per completare l’analisi di correlazione, in tabella 6.11 sono indicate le prime 20 e le ultime 20 province per rapporto percentuale tra il totale delle prestazioni IVS delle gestioni INPS settore privato e pubblico in pagamento al 31.12.2021, suddivise anche per le singole categorie (anzianità, vecchiaia, invalidità previdenziale e superstiti) e la popolazione residente in ogni singola provincia.
Nel rapporto numero totale di prestazioni IVS su popolazione residente, nelle province del Nord prevalgono le pensioni di anzianità con elevati anni di contribuzione e quelle di vecchiaia il che porta a un alto numero di prestazioni totali (come a Biella, Vercelli ecc.) rispetto alle aree meridionali; ad esempio, Biella segna 40,3 prestazioni IVS ogni 100 abitanti, di cui però quasi 30 dianzianità e vecchiaia sostenute da contributi e altre 9,3 di reversibilità.
Il maggior numero di prestazioni si riscontra nelle province che sono o sono state poli industriali e produttivi: Biella per il tessile e le altre province per la chimica di base, porti, acciaierie (Terni) e altre attività. Si conferma quanto fin qui detto: la netta prevalenza del Nord per le pensioni di anzianità, con le ultime 20 province tutte al Sud, Sicilia in testa (Messina, Siracusa, Ragusa, Enna, Trapani, Caltanissetta, Catania, Palermo, Agrigento) seguita da Calabria (Vibo Valentia, Catanzaro, Reggio Calabria, Cosenza, Crotone), Puglia (Lecce, Foggia, Barletta) e Campania (Salerno, Caserta, Napoli).
Sono prevalentemente al Sud e Isole le prime 20 province per la prestazione di invalidità previdenziale, mentre le più virtuose si collocano tutte al Nord.
La tabella 6.12 confronta, invece per ciascuna regione, il numero delle diverse tipologie di prestazioni assistenziali ogni 100 abitanti. È indicata anche l’età media della popolazione residente di ogni regione: la Liguria, il Friuli-Venezia Giulia, il Molise e l’Umbria sono le regioni più anziane d’Italia con età medie tra i 47 e i 48 anni, mentre la Campania, il Trentino-Alto Adige, la Sicilia e la Calabria hanno età medie tra i 42,8 anni e i 44,9 anni, al di sotto delle media nazionale (45,5 anni).
Nonostante ciò, la Calabria, la Puglia e la Campania, pur essendo le regioni con popolazione mediamente giovane, presentano un rapporto pensioni assistenziali “pure” su 100 abitanti molto elevato, rispettivamente 11,95, 10,49 e 10,27 trattamenti assistenziali “puri” ogni 100 abitanti il doppio del Nord e del Centro (rispettivamente 5,48 e 5,93 trattamenti assistenziali “puri” ogni 100 abitanti).
Per la quota assistenziale che integra le pensioni al minimo spiccano, rispetto alla media nazionale di 4,26 integrazioni ogni 100 abitanti, il Molise con 7,76 integrazioni al minimo su cento abitanti e la Basilicata con 6,73 integrazioni al minimo su 100 abitanti, in considerazione di economie preminentemente agricole (coltivatori diretti, mezzadri e coloni) di
queste due regioni. Anche in questo caso, come per tutte le tabelle che fin qui sono state prodotte, l’assunto iniziale di una correlazione diretta tra saldi negativi e prevalenza di prestazioni
assistenziali è confermato.
La spesa sociale, spesso confusa tra pensionistica e assistenziale, ha raggiunto i 155 miliardi, richiedendo una rigorosa revisione per puntare allo sviluppo anziché sull’assistenzialismo. La Sicilia, insieme al Sud, è al centro di questa sfida, con la necessità di riforme mirate per affrontare il problema della disoccupazione, delle basse contribuzioni e della dipendenza eccessiva dalle prestazioni assistenziali.
SLIDE RIASSUNTIVE DEL RAPPORTO: Slide convegno di presentazione del rapporto.pdf