Il gup di Palermo ha condannato in abbreviato a sei anni e otto mesi per favoreggiamento aggravato e procurata inosservanza della pena Andrea Bonafede, cugino ed omonimo del geometra di Campobello di Mazara che ha prestato l’identità a Matteo Messina Denaro. L’accusa in aula era sostenuta dai pm Piero Padova e Gianluca de Leo.
Bonafede è accusato di aver fatto da intermediario tra il boss allora latitante e il medico Alfonso Tumbarello nel periodo in cui il capomafia era in cura per il cancro al colon che poi l’ha ucciso. L’imputato faceva avere a Messina Denaro le ricette intestate al geometra e le prescrizioni firmate da Tumbarello necessarie alle terapie. Bonafede si è difeso sostenendo di non sapere che il reale malato era il padrino ma di essere convinto che ad avere il tumore fosse il cugino che voleva però tenere riservata la patologia.
Il procuratore generale della Corte d’appello di Palermo ha chiesto la conferma della sentenza con cui, il 15 febbraio 2022, il Tribunale di Marsala condannò a complessivi 166 anni di carcere (esattamente quanti ne avevano invocato i pm della Dda) i 13 imputati del processo scaturito dall’operazione antimafia “Annozero” (blitz del 19 aprile 2018) che scelsero il processo con rito ordinario.
L’indagine, condotta dai carabinieri, ha visto coinvolti, indagati tra i quali anche due cognati del boss Matteo Messina Denaro (Gaspare Como e Rosario Allegra, quest’ultimo deceduto il 13 giugno 2019, a 65 anni, a seguito di un aneurisma cerebrale, nell’ospedale di Terni) e fiancheggiatori di Cosa Nostra nel Belicino. In primo grado, le pene più severe (25 anni di carcere ciascuno) sono state sentenziate per Gaspare Como, al quale si contesta un ruolo di vertice nella “famiglia” di Castelvetrano, e per Dario Messina, ritenuto dagli inquirenti il nuovo reggente del mandamento mafioso di Mazara del Vallo (mandamento che comprende anche la più grande città della provincia di Trapani: Marsala). Queste le altre pene inflitte dal Tribunale di Marsala: 21 anni per Vittorio Signorello, anche lui di Castelvetrano, 18 anni per Bruno Giacalone, di Mazara del Vallo, 17 anni ciascuno per Vito Bono, di Campobello di Mazara, e per il mazarese Giovanni Mattarella, genero del defunto boss Vito Gondola, detto “Coffa”, 16 anni per il castelvetranese Carlo Cattaneo.
Quest’ultimo, operante del settore delle sale giochi e scommesse on line, accusato di concorso esterno in associazione mafiosa. Infine, 7 anni di carcere per il campobellese Giuseppe Accardo, 4 anni e 4 mila euro di multa per l’ex consigliere comunale di Castelvetrano Calogero “Lillo” Giambalvo, e 4 anni ciascuno per Carlo Lanzetta, Nicola Scaminaci, Giuseppe Tommaso Crispino e Maria Letizia Asaro. Tra le parti civili, anche i comuni di Castelvetrano e Campobello di Mazara, ai quali è stato accordato un risarcimento danni di 10 mila euro ciascuno. Cinquemila euro di risarcimento per Pasquale Calamia, ex consigliere comunale del Pd a Castelvetrano, che tra il 2008 e il 2013 subì alcune intimidazioni. Comminate anche pene accessorie e disposte confische di beni, quote societarie e conti correnti. Tra le accuse a vario titolo contestate agli imputati, oltre all’associazione mafiosa, anche l’estorsione, i danneggiamenti (incendi), il trasferimento fraudolento di valori e il favoreggiamento. Nell’indagine, è emerso l’interesse della mafia nel settore delle scommesse on line.