Il cambiamento climatico rischia di provocare una situazione drastica dal punto di vista ambientale. È sotto gli occhi di tutti che la Sicilia è flagellata da fiumi asciutti, dati pluviometrici preoccupanti e terreni secchi ed infertili. L’emergenza ambientale rischia anche di diventare presto un allarme sociale. Cresce sempre di più, infatti, l’abbandono dei territori centrali dell’Isola.
Il 2 gennaio il sistema Copernicus ha evidenziato una situazione drammatica. Da un semplice raffronto visivo tra le immagini satellitari raccolte nel 2023 e le fotografie di appena un anno più tardi, emerge come il territorio della Sicilia centrale e orientale sia caratterizzato da un’intensa colorazione marrone, a conferma dell’aridità di vaste aree. Il programma europeo utilizza una grande quantità di dati, resi disponibili alle autorità pubbliche e a chiunque sia interessato per adottare provvedimenti utili al miglioramento della qualità della vita dei cittadini. Questa evidenza dipende principalmente da due fattori.
In primo luogo, la scarsità di fenomeni piovosi, come descritti dal Sias (Sistema informativo agrometereologico siciliano) ha provocato un aumento della siccità come non avveniva dal 1921. Per fare qualche esempio, ad Agrigento nel mese di dicembre sono caduti al suolo appena 15,8 mm di pioggia. Ancor più preoccupante la situazione a Catania, dove nello stesso periodo sono caduti soltanto 11,4 mm. La conseguenza diretta di questi fenomeni è la secchezza e l’impermeabilità del suolo.
È anche probabile, che nelle prossime settimane possano verificarsi eventi metereologici estremi, in particolare acquazzoni e fenomeni temporaleschi di rilevante entità. L’incapacità del terreno di riuscire ad assorbire le acque piovane può, a sua volta, causare smottamenti e frane. Il pericolo per la popolazione è enorme.
Ad acuire il disagio contribuisce senza dubbio anche la distruzione della vegetazione regionale da parte degli incendi estivi. Quasi 50.000 ettari del territorio siciliano sono andati in fumo nel periodo che va da giugno ad agosto 2023. Più del 70% del suolo è stato percorso dalle fiamme, provocando devastazione e conseguenze ambientali ed economiche spesso irreparabili.
L’assenza di apparati radicali solidi che possano garantire la stabilità del terreno, genera in buona parte dei casi eventi franosi che aggravano la desertificazione siciliana.
I danni sono visibili. Le economie agricole sono in ginocchio, i Comuni dell’entroterra lentamente e costantemente vanno incontro allo spopolamento, i prezzi dei prodotti ortofrutticoli schizzano alle stelle tra inflazione e siccità.
Nonostante ciò, il governo nazionale stenta ancora a riconoscere lo stato di calamità regionale per quanto accaduto nell’Isola durante il periodo estivo. Il provvedimento consentirebbe anche di sbloccare alcuni fondi per ristorare le famiglie, le aziende e le comunità locali colpite da questi eventi estremi. È senza dubbio di primaria importanza rimettere in sicurezza alcuni luoghi dal rischio frane e provvedere anche al rimboschimento di alcune aree, distrutte dalla piaga incendiaria.
Alcuni studi condotti dal Cnr e dall’Osservatorio Anbi hanno perfino fissato una data certa: entro il 2050 il 70% dell’Isola sarà un vero e proprio deserto, alla stessa stregua degli scenari paesaggistici già visibili nella zona sahariana del continente africano.
La necessità dell’inversione di tendenza non passa più soltanto dalla prevenzione. Il contrasto e la riparazione degli effetti già avvenuti e lampanti è l’imperativo per i prossimi anni.