“Cosa nostra ha subito colpi importanti, è stata indebolita ed è più povera, ma le famiglie provano sempre a riorganizzare un organismo di vertice e soprattutto ad arricchirsi nuovamente, attraverso il traffico di stupefacenti”. Lo ha detto, incontrando gli studenti a Casal di Principe (Ce), il procuratore di Palermo Maurizio de Lucia.
Il magistrato ha parlato con i ragazzi del libro, scritto con l’inviato di Repubblica Salvo Palazzo, sulla cattura del boss Matteo Messina Denaro. L’incontro è avvenuto nella villa confiscata dove ha sede Casa don Peppe Diana, il luogo dedicato al sacerdote ucciso dalla camorra il 19 marzo del 1994.
“Il rischio più grande che oggi corriamo – ha aggiunto Salvo Palazzolo – è quello di non comprendere l’evoluzione del fenomeno mafioso. Don Peppe Diana in Campania e don Pino Puglisi in Sicilia invitavano la Chiesa e la società civile a una testimonianza più attiva, per la liberazione del territorio, ma restarono soli. Per questo furono uccisi. E’ il motivo per cui oggi non possiamo permetterci altre pericolose sottovalutazioni, di fronte a una mafia tornata silente che si infiltra nell’economia e nella politica”.
“Matteo Messina Denaro ha vissuto a lungo nel territorio del Trapanese, il suo territorio, sicuro di non essere scoperto. Indagando dopo il suo arresto abbiamo scoperto che era stato addirittura fermato a un posto di blocco, sette anni fa, in provincia di Trapani. Ma non fu riconosciuto dai carabinieri che controllarono il suo documento. Tutto sembrava in regola”, ha aggiunto il procuratore di Palermo, che ha coordinato le indagini che hanno portato all’arresto del capomafia avvenuto il 16 gennaio del 2023.
La rivelazione del procuratore è arrivata nel corso dell’incontro con i ragazzi. “Messina Denaro confidava sul fatto che le forze dell’ordine avevano sue foto vecchie di anni – ha raccontato il procuratore di Palermo – ma c’era anche chi lo avvisava dei movimenti degli investigatori. Ci dobbiamo interrogare su come sia stato possibile che abbia trascorso trent’anni in latitanza. Oggi, l’impegno della procura di Palermo è quello di individuare chi ha favorito Messina Denaro”. “La malattia non aveva cambiato le abitudini del latitante”.
Prosegue: “Confiscare i beni ai mafiosi è fondamentale, perciò sono pericolosissime quelle correnti di pensiero diffuse in Italia secondo cui se un esponente della criminalità viene assolto in un processo penale, poi bisogna riconsegnargli anche i beni che gli sono stati tolti. Può capitare che in un processo un mafioso venga assolto, perché la colpevolezza di una persona va provata oltre ogni ragionevole dubbio, ma per i beni il discorso è diverso, perché i mafiosi hanno sempre un tenore di vita dichiarato che è di gran lunga inferiore ai beni che possiedono”. Tornando alla cattura di Matteo Messina Danaro, De Lucia ha detto che “la cosa che mi ha dato più soddisfazione quel giorno è che, anche se solo per una frazione di secondo, tutti in Italia ci siamo sentiti vincitori. Poi subito dopo sono tornate le divisioni. Noi invece dopo la gioia, abbiamo iniziato a porci domande importanti, sul perché la latitanza sia durata così tanto e chi l’avesse protetto. Purtroppo è emerso che in tanti si sono voltati dall’altra parte o l’hanno aiutato chiedendo favori in cambio della sottomissione”.