Da Messina a Trapani, la Sicilia è stretta nella morsa dell’emergenza idrica. Le provincie dell’Isola, tra mille difficoltà, corrono già ai ripari per scongiurare il rischio di restare a secco. L’allarme ha oltrepassato lo Stretto ed è giunto, con un eco affievolito eco, fino a Roma. Le competenze in materia sono prettamente nelle mani della Regione ma è chiaro che per evitare di sprofondare nel baratro è necessaria una mano tesa dall’alto.
Non solo il cambiamento climatico e gli avversi e al quanto ambigui mesi invernali, che si sono susseguiti, il problema della Sicilia risiede anche e soprattutto nel gap infrastrutturale (CLICCA QUI). Il tema è certamente ben noto a Nello Musumeci, predecessore di Renato Schifani e ministro per la Protezione civile e le Politiche del mare, che nei giorni scorsi è intervenuto ad Augusta per visitare la sede dell’Autorità di Sistema Portuale del Mare di Sicilia Orientale. Già nella sua esperienza da inquilino a Palazzo d’Orleans la gestione di invasi e dighe (CLICCA QUI) è stata al centro di una serie di analisi e punto di partenza per ricucire la spaccatura.
Interventi tamponi che non hanno però permesso di risolvere questioni come quella della dispersione idrica, strettamente legata a sua volta a quella della pulizia degli invasi, tra fanghi e detriti che ne ostruiscono il lavoro di raccolta. Dai rubinetti alle aziende agricole prosegue la battaglia al buio contro un’emergenza ormai tristemente strutturata, che ondeggia tra sprechi e mancata prevenzione.