Da decenni in Italia si invoca la realizzazione del Ponte sullo stretto di Messina, il collegamento stabile tra la Sicilia e la Calabria, e il resto d’Europa, che annullerebbe il divario tra il Nord e Sud dello Stivale.
L’infrastruttura non sarebbe solo il volano di un vero rilancio economico e sociale post-pandemia, ma rappresenterebbe l’attraversamento indispensabile per consentire il completamento di uno dei corridoi strategici, quello scandinavo-mediterraneo comprendente i nodi finali dei porti di Augusta e Palermo, e della rete trans-europea di trasporto TEN-T, che la Commissione europea vuole realizzare entro il 2030.
Insomma, un ponte di scambio strategico di merci per il potenziamento della piattaforma logistica delle navi che attraversano il Mediterraneo. Tuttavia, il governo italiano ha dichiarato a più riprese di non ritenere l’opera prioritaria, al punto da non inserire l’ambiziosa idea di ingegneria infrastrutturale all’interno del PNRR, rischiando di lasciare ai margini l’Isola.
Il governo Musumeci rivendica la “madre di tutte le opere”, perché significa dare centralità non soltanto al Meridione, ma a tutto il Sistema Paese, e certamente determinante per il futuro prossimo della Sicilia: la sua collocazione geografica è una potenzialità enorme per i processi di crescita economica che ne potrebbero derivare. L’Isola, come ribadisce spesso il presidente della Regione, è la naturale piattaforma logistica del Mediterraneo è il “refrain” che non è più un mare di frontiera ma che deve diventare mare che unisce, che aggrega.
La questione infrastrutturale è ancora sui tavoli politici.