La procura generale di Palermo non poteva impugnare l’assoluzione, disposta in primo grado e confermata in appello, dell’ex ministro Calogero Mannino, giudicato con rito abbreviato, nell’ambito del processo sulla trattativa Stato-mafia.
È quanto emerge dalla sentenza, depositata oggi dalla sesta sezione penale della Cassazione, che aveva, nel dicembre scorso, dichiarato inammissibile il ricorso del pg del capoluogo siciliano. La Suprema Corte ha preso la sua decisione affrontando in via preliminare la questione di legittimità posta nel ricorso, dichiarandola “assorbente e manifestamente infondata“, cosa che ha precluso l’esame degli altri motivi.
In particolare, la procura generale di Palermo sosteneva l‘illegittimità costituzionale della norma, contenuta nella riforma Orlando del 2017, che limita, se vi è stato un doppio proscioglimento nei giudizi di merito, il ricorso per Cassazione del pm ai casi di “violazione di legge“: una tesi, quella del pg di Palermo, non condivisa dai giudici di piazza Cavour, i quali, richiamando pronunce anche della Corte Costituzionale, si sono espressi a favore della legittimità della norma.
“La limitazione del potere di ricorso del pm in caso di doppia conforme assolutoria deve ritenersi né irragionevole né sproporzionata rispetto all’obiettivo che la riforma intendeva perseguire e trova ragionevole giustificazione nell’esigenza di evitare che alla Corte di Cassazione, seppure nei limiti del giudizio di legittimità, si sottoponga la verifica dei fatti nell’ambito di due giudizi di merito“.
Essendo questa una questione pregiudiziale posta nel ricorso, la Cassazione non ha vagliato gli altri – 19 in tutto – motivi posti in rilievo dalla procura generale e inerenti direttamente il procedimento su Mannino, che, quindi, si è concluso con la conferma dell’assoluzione pronunciata sia in primo grado che in appello a Palermo.