Domani 2 marzo si apre a Messina il Maxiprocesso “Nebrodi” che vede alla sbarra 111 imputati e con essi un sistema mafioso milionario fatto di connivenze e silenzi.
La così detta “Mafia dei Pascoli”, un meccanismo perverso che permetteva alla criminalità organizzata di mettere le mani su una quantità di somme impensabili guadagnate per anni da Cosa nostra. Un business “legale” e inesplorato. Boss che riuscivano inspiegabilmente ad affittare tanti ettari di terreno nel Parco dei Nebrodi, in Sicilia, li lasciavano incolti e incassavano i contributi dell’Unione Europea.
“La mafia dei terreni, pericolosa, omicidiaria”, dichiara l’ex presidente del Parco dei Nebrodi, Giuseppe Antoci, padre del ‘Protocollo della legalità’.
Si tratta di un protocollo per l’assegnazione degli affitti dei terreni, che prevede la presentazione del certificato antimafia anche per quelli di valore a base d’asta inferiori a 150.000 euro. Il c.d. “Protocollo Antoci”, firmato il 18 marzo 2015 presso la Prefettura di Messina dalla Regione Siciliana e dai 24 Sindaci del Parco, nel settembre 2016 è stato esteso a tutta la Sicilia e sottoscritto da tutti i Prefetti dell’isola.
Il “Protocollo” è stato recepito dal nuovo Codice Antimafia, votato in Parlamento il 27 settembre 2017, e adesso è applicato in tutta Italia.
Il processo segue l’operazione del 15 gennaio 2020 denominata “Nebrodi” con 94 arresti e il sequestro di 151 aziende agricole per mafia, una delle più vaste operazioni antimafia eseguite in Sicilia e la più imponente, sul versante dei Fondi Europei dell’Agricoltura in mano alle mafie, mai eseguita in Italia e all’Estero.
Più di mille uomini della Guardia di Finanza di Messina e dei Carabinieri del ROS hanno assicurato alla giustizia numerosi componenti di famiglie mafiose contestando loro reati che ruotano attorno al lucroso affare dei Fondi Europei per l’Agricoltura in mano alle mafie combattuto con forza con la procedura del “Protocollo Antoci”
L’attività della DDA di Messina, guidata dal Procuratore Maurizio De Lucia, ha squarciato il velo di silenzi e omertà che avevano soggiogato e sottomesso per anni un intero territorio e la Sicilia intera.
Così scrivono i magistrati nell’ordinanza: “In gran parte, oltre quelli depredati, si usavano terreni liberi, presi a caso da tutta la Sicilia e da zone impensabili dell’Italia, usati, spacciati come propri, per le raffinate truffe delle associazioni”
“La mafia che ha scoperto che soldi pubblici e finanziamenti costituiscono l’odierno tesoro e come siano diminuiti i rischi pur se i metodi restano criminali… e ancora: “il campo di maggiore operatività è divenuto il grande business derivante dalle truffe ai danni dell’Unione Europea, come detto più remunerative e meno rischiose”.
Un meccanismo interrotto proprio da quel Protocollo che Giuseppe Antoci ha fortemente voluto insieme al Prefetto di Messina Stefano Trotta e che oggi continua ad essere applicato con rigore dal Prefetto Maria Carmela Librizzi. Quello strumento, recepito nei tre cardini del Nuovo Codice Antimafia e votato in Parlamento il 27 settembre 2015, ha posto le basi per una normativa che consente a Magistratura e Forze dell’Ordine di porre argine ad una vicenda che durava da tanti anni. Di fatto, tentano di aggirarla e vengono scoperti.
Per tutto ciò l’ex Presidente del Parco dei Nebrodi, oggi Presidente Onorario della Fondazione Caponnetto, ha rischiato la vita in quel tragico attentato mafioso dal quale si è salvato grazie all’auto blindata e a quei valorosi poliziotti della sua scorta, tutti promossi per merito straordinario e medaglia al valore.
Proprio su questo argomento il Giudice scrive nell’ordinanza dell’operazione che ha portato alla sbarra gli imputati:
“ Nel contesto che emerge nella presente indagine di truffe milionarie e di furto mafioso del territorio trova aspetti di significazione probatoria e chiavi di lettura di quell’attentato. Antoci si è posto in contrasto con interessi milionari della mafia”.
“Abbiamo colpito con un’azione senza precedenti la mafia dei terreni – dichiara Antoci – ricca, potente e violenta, ed è per questo che quella notte volevano fermarmi. Volevano bloccare l’idea di una legge nazionale e dunque tutto quello che sta accadendo oggi. Io sarò presente domani all’Aula Bunker e li guarderò dritti negli
occhi, uno per uno, senza paura, senza indugi e con l’unica forza che ho, quella dello Stato”
“Questo processo rappresenta un ulteriore passaggio in cui lo Stato ha vinto la partita contro la mafia. Dobbiamo sperare e capire che ce la possiamo fare, senza fare gli eroi, ma semplicemente adempiendo ai propri doveri, con la schiena dritta e non abbassando mai gli occhi. Bisogna dare un senso alle proprie scelte, e ne vale la pena. Voglio far passare questo importante messaggio di speranza”, così conclude Giuseppe Antoci.