Le vicende che hanno visto protagonisti rappresentanti delle istituzioni, sindaci e assessori, che si sono sottoposti al vaccino senza averne diritto hanno riportato prepotentemente alla ribalta la questione relativa alle categorie della popolazione che sono legittimate a ricevere il siero. Fermo restando l’odiosa condotta dei cosiddetti furbetti, è da rilevare come non tutti abbiano avuto lo stesso stile nella reazione quando sono stati ‘pizzicati‘.
Il sindaco di Corleone Nicolò Nicolosi, per esempio, si è immediatamente dimesso dalla carica e soltanto in un secondo momento ha commentato la vicenda spiegando le propria posizione. Diverso l’atteggiamento del sindaco di Polizzi Generosa Gandolfo Librizzi, che si è giustificato affermando di avere fatto il vaccino semplicemente perché chiamato dal suo vicesindaco, fidandosi e arrivando addirittura a definirsi ‘vittima‘: incommentabile.
Fin dal suo esordio la campagna vaccinale, come era giusto che fosse, ha avuto ampio risalto mediatico. Le prime somministrazioni, quelle che sono state inoculate al personale sanitario, sono state seguite da telecamere, c’è stata la convocazione di conferenze stampa per assistere all’evento, video, immagini, dirette Facebook e quant’altro. Sui social si è quindi assistito alla progressiva proliferazione di post con le foto di chi, via via, eseguiva la somministrazione del vaccino.
E qui è iniziata la ‘deviazione da villaggio globale‘. Tornando ai furbetti, si pensi che in certi casi sono stati essi stessi a farsi immortalare, arrivando a diffondere le foto sui canali di messaggistica istantanea o addirittura sui già citati social, probabilmente orgogliosi di quella che erroneamente viene chiamata ‘furbata’ (e che invece è finita con l’essere oggetto di interesse da parte delle Procure).
Sì, perché le parole sono importanti. A memoria, la prima volta che ricordo in cui si utilizzò il termine ‘furbetti’ fu quando si parlò dei quelli ‘del quartierino‘, una cricca di faccendieri che tentarono la scalata a istituti bancari e grandi giornali utilizzando metodi illeciti. Ecco, da questa espressione ne sono derivate altre: i furbetti del cartellino, i furbetti del reddito di cittadinanza e via dicendo.
Ma quando la furbizia si esercita a danno della collettività si traduce in abuso. Che dovrebbe essere punito con una sanzione, anche solo morale. E invece spesso è l’invidia il senso che porta a mettere all’indice il furbetto.
Un po’ come succede tra le varie categorie professionali in questo periodo. Nulla di illecito in questo caso, ci mancherebbe, ma si assiste ormai quotidianamente al ‘perché tu sì e io no‘ che vede in ordine sparso protagonisti sui social magistrati, cassieri, avvocati, commercianti e – ebbene sì – giornalisti, nella convinzione che si stia creando un nuovo ordine sociale determinato da chi riceve il vaccino e chi no. Il siero contro il Covid ridotto a status symbol, nell’attesa di pubblicare la foto su Instagram o su Facebook.
L’augurio è che presto il vaccino sia disponibile per sempre più larghe fasce di popolazione. Nel frattempo la scelta delle categorie da vaccinare può certamente essere criticata, nessuna obiezione. Ma l’impressione è quella che prevalga l’anelito di voler appartenere a una cerchia di privilegiati sulla sincera rivendicazione del diritto alla salute da parte di una categoria. Una ulteriore dimostrazione di tutte le nostre difficoltà a percepirci comunità.