La “madre di tutte le riforme” il cosiddetto premierato dopo l’ok in Senato lo scorso giugno, è bloccata alla Camera e non si capisce quando riuscirà ad avere il via libera per l’approvazione finale che, a questo punto, potrebbe arrivare alla fine della legislatura o addirittura non arrivare affatto. La riforma richiederebbe una modifica dell’attuale legge elettorale, il Rosatellum, ma se il premierato alla fine non dovesse decollare in Parlamento si è cominciato ad ipotizzare comunque un intervento sulla legge elettorale.
Il pensiero del cambio della legge elettorale nazionale l’ha concretizzato la stessa presidente del Consiglio Giorgia Meloni che nella conferenza stampa di inizio anno ha sottolineato: “Se il premierato non dovesse arrivare, ci si interrogherà sull’attuale legge elettorale, se è la migliore oppure no“, ha detto Meloni rispondendo a una domanda durante l’incontro con la stampa.
Nell’obiettivo di Fratelli d’Italia in realtà sarebbero entrati i collegi uninominali previsti dal Rosatellum che sarebbero potenzialmente contenibili, soprattutto al Sud, da un’alleanza tra Pd, Movimento Cinque Stelle e Sinistra. Ripiegando su un proporzionale puro il partito della Meloni toglierebbe di mezzo la competizione tra coalizioni e affiderebbe ai singoli partiti lo sforzo per conquistare seggi, contado sulla capacità di FdI di fare il pieno di voti e seggi.
L’idea chiaramente non entusiasma gli alleati della Meloni, soprattutto i più piccoli, che contano sulla coalizione e i collegi uninominali per avere un paracadute o per garantire una sorta di diritto di tribuna. Per superare l’ostilità della Lega e di Noi Moderati e le perplessità di Forza Italia i meloniani avrebbero ipotizzato anche dei correttivi per garantire la “logica di coalizione”: un forte premio di maggioranza, ovvero il 55 per cento dei seggi all’alleanza che supera almeno il 40 per cento dei voti. Poi collegi più piccoli, per dare l’idea di un “effetto maggioritario”. Infine, il nome sulla scheda del candidato premier della coalizione, anche qui per uscire dai canoni del proporzionale classico stile Prima Repubblica.
Dalle parti del Partito Democratico sul tema della legge elettorale si è possibilisti sul premio di maggioranza soprattutto per scoraggiare eventuali terzi poli, ma l’idea è di sparigliare proponendo a FdI una disponibilità al dialogo in cambio dell’apertura al dialogo sulla reintroduzione delle preferenze. La reintroduzione delle preferenze potrebbe intrigare il partito della premier, ma di certo getta nel panico la maggioranza dei parlamentari che ormai da tempo non sono più abituati al casa per casa per trovare i voti per Montecitorio e Palazzo Madama.
Sullo sfondo rimangono anche altri modelli di legge elettorale: tempo fa il ministro delle riforme Elisabetta Casellati aveva ipotizzato un ritorno al Mattarellum mentre altri avevano tirato in ballo il cosiddetto Provincellum, ovvero la legge utilizzata per le elezioni provinciali dal 1993 al 2011, e la legge elettorale usata per il Senato fino al 1992 che prevedeva un sistema basato su collegi uninominali ma con riparto proporzionale dei seggi.
Di certo c’è che alla discussione sulla legge elettorale nazionale si guarda con attenzione anche in Sicilia perché, inevitabilmente, su questa si misureranno le ambizioni degli esponenti locali dei partiti molti dei quali, soprattutto i detentori di grossi pacchetti di preferenze, contestano ai leader nazionali l’elezione nell’isola di stranieri o, per dirla con l’assessore regionale alle Attività produttive Edy Tamajo di personaggi che non “hanno nemmeno il voto dei familiari”. Una considerazione, quella di Tamajo, condivisa da parecchi politici soprattutto di centrodestra che non sono per niente contenti di liste bloccate e paracadutati.