di Riccardo Rossi.
“Quando si avvicina il 10 febbraio, giorno del ricordo della tragedia delle Foibe, dei tanti morti e dei tanti istriani che sono dovuti scappare per non essere uccisi (tra cui mia nonna, mio padre e mia zia), mi assale la tristezza“.
Queste le parole di Riccardo Rossi, il figlio si un esule istriano che ci racconta la storia della sua famiglia. In quel tragico evento, per fortuna, ci fu spazio per la misericordia.
Il giorno del ricordo, il 10 febbraio, è stato istituito in Italia nel 2004 per “conservare e rinnovare la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell’esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra e della più complessa vicenda del confine orientale”.
Considero questo giorno come una tappa di memoria che dà dignità ad una verità per decenni non raccontata.
Allo stesso tempo, però, sono anche felice, perché in tanto odio e violenza, la mia famiglia ha vissuto anche una storia di eroismo.
Il mio prozio Giordano Paliaga, fratello di mia nonna Maria, che era stato partigiano contro i nazi-fascisti, venne a sapere che sua sorella e i suoi figli piccoli, Arturo (che poi è divenuto mio padre) e Pierina, sarebbero stati uccisi e buttati nelle foibe; lui riuscì ad avvertirla in tempo e così lei riuscì a scappare con i bambini.
Maria, istriana, era sposata con il soldato italiano Ubaldo Rossi; dovette lasciare la casa e il lavoro nel panificio della madre Santa (che furono poi confiscati) ma mise in salvo la sua vita e quella dei figli, cosa non da poco.
Passarono tanti anni e Arturo, crescendo, mise su famiglia sposando Antonia; con lei ebbe tre figli, tra cui me, Riccardo, il più grande.
Arturo portava in sé tutto il dolore del ricordo dell’avere lasciato la sua casa natale da piccolo, la sofferenza di un padre che lo martirizzava fisicamente e che lo aveva fatto crescere in un istituto minorile. Tutto questo malessere accumulato lo ha poi scaricato su di me e su mio fratello Maurizio, secondogenito.
Ogni giorno, tornava tardi e nervoso a casa, ci rompeva i giocattoli, ci picchiava, ci malediceva e ci umiliava; dopo 47 anni, abbiamo scoperto che prima di rientrare andava a trovare la sorella e i cuginetti.
Ogni giorno era un tormento, fino alla fine dell’adolescenza.
Crescendo, nei suoi discorsi, percepivo tanto dolore, perché non poteva più tornare nella sua città, Rovigno di Pola in Istria, perché essendo stato anche lui un soldato italiano non era gradito.
Quando leggeva la sua tessera di riconoscimento, in cui si evinceva che era nato a Pola, in Iugoslavia (ora Croazia), vedevo lo smarrimento nei suoi occhi; lui si definiva italiano e non iugoslavo!
Insomma, queste ferite spirituali della mia giovinezza me le sono portate dietro fino all’età di 55 anni ( fino a due anni fa), momento in cui ho avuto la consapevolezza della mia guarigione, dopo il mio percorso spirituale sempre più profondo grazie alla lettura, “fuso in Gesù”, del libro Le 24 Ore della Passione di Nostro Signore Gesù Cristo (vergato da Luisa Piccarreta) e ai momenti di preghiera con i Piccoli figli di Palermo ( che leggono e meditano gli scritti – 36 volumi – Libro di Cielo della mistica Luisa).
Ma la cosa anche più grande la dice Gesù nel Volume 35 – Libro di Cielo- sempre vergato da Luisa Piccarreta: “Credi tu che tutto ciò che hai sofferto, la mia Volontà non ne tiene conto? Affatto. Conserva nel suo Seno di Luce tutte le tue pene, piccole e grandi, i tuoi sospiri angosciosi e dolenti, le tue privazioni: anzi. Se n’è servita come materia per concepire, nascere e crescere la sua vita. In ogni pena era crescenza che faceva, le quali alimentava colla sua santità, le riempiva con la foga del suo amore, le abbelliva colla sua inarrivabile bellezza. Figlio mio, come devi ringraziarmi di tutto ciò che ho disposto di te e di tutto ciò che ti ho fatto soffrire, perché tutto è servito a formare la mia vita in te ed al trionfo della mia Volontà”.
Che meraviglia fare vivere Gesù in me!
Con questa grande speranza, sono anche tornato a Rovigno dove ho incontrato il figlio di Giordano, Gianfranco, un uomo di circa 80 anni, con sua moglie Maria, la figlia Maela e la nipote.
E’ stato bello incontrare dopo tanti anni parenti istriani e tessere ponti di amicizia, vedere i luoghi dove visse mio padre e pregare “fuso in Gesù e Maria” in continuazione per l’avvento del Regno di Dio che metterà tutto in ordine.
Ho cercato di essere sempre a posto con la mia coscienza. Da adolescente e da giovane uomo, sono stato un ambientalista in prima linea; la mia famiglia era da generazioni nella Marina militare ed io, grazie ad un amico che mi ha aperto gli occhi, sono diventato un uomo di pace, disarmato (sono stato anche obiettore di coscienza).
Ora, dopo anni di giornalismo, continuo a scrivere cercando di seminare solo la Verità. Da più di ventidue anni vivo di provvidenza.
Da 9 anni sono sposato con Barbara, che mi ha seguito. Siamo due missionari laici (ora alla Missione di Speranza e Carità di Palermo) e, insieme, aiutiamo tante persone. Diamo il nostro contributo per accogliere profughi e migranti.
Cerco di essere sempre di più unito a Gesù e Maria, anche perché sono talmente fragile (GV 15,5) che da solo non sarei capace di fare nulla!
Fonte mission.spaziospadoni.org