“Serve un procedimento più equo per i medici. Non possiamo più subire aggressioni fisiche, social e giudiziarie”. A dichiararlo è Filippo Mangiapane, presidente dell’Ordine dei Medici di Trapani, intervenendo su un fenomeno sempre più preoccupante che colpisce la categoria sanitaria da più fronti.
Solo nel 2024, secondo i dati ufficiali del Ministero della Salute, si sono registrati oltre 2.000 episodi di aggressione contro medici e operatori sanitari in Italia, con una media di sei aggressioni al giorno.
In ambito giudiziario, ogni anno vengono intentate circa 35.600 nuove azioni legali contro medici e strutture sanitarie pubbliche, mentre oltre 300 mila procedimenti risultano ancora pendenti nei tribunali italiani.
La Sicilia è tra le regioni più colpite, con circa una denuncia ogni cinque pazienti. Nel periodo pre-Covid, si contavano 117 casi l’anno, di cui 84 con esito mortale. Insieme all’Isola, anche Lombardia e Lazio riportano dati elevati.
Nel 95% dei casi, però, i procedimenti penali si concludono senza alcuna condanna, risultando infondati.
“Purtroppo anche la nostra provincia si è macchiata di episodi di violenza nei confronti degli operatori sanitari – spiega Mangiapane-. Quasi quotidianamente leggiamo di eventi molto spiacevoli che colpiscono colleghi che stanno solo cercando di svolgere il loro lavoro con dedizione. Ma non si tratta solo di aggressioni fisiche o verbali: c’è una violenza più subdola, che passa attraverso i social media”.
“Abbiamo avuto casi in cui alcuni cosiddetti ‘leoni da tastiera’ si sono scagliati contro colleghi addirittura deceduti. Si è superato ogni limite di civiltà e accettabilità“, prosegue.
Un ulteriore livello di ostilità si manifesta nell’ambito giudiziario.
“Sempre più spesso si sente parlare di class action promosse contro gli operatori sanitari che stanno solo facendo il loro dovere – evidenzia –. Quando un medico riceve una denuncia, entra in uno stato di stand-by: deve attendere verifiche, udienze, processi. E sappiamo che nel 97% dei casi – un dato che corrisponde quasi perfettamente anche a quello nazionale del 95% – le denunce si concludono con un nulla di fatto, perché prive di fondamento”.
“Si tratta di un’aggressione che incide non solo sulla vita professionale, ma anche su quella privata. I tempi della giustizia sono lunghi, e noi medici ci ritroviamo a convivere per anni con frustrazione e preoccupazione”, sottolinea.
Per questo, il presidente ribadisce una richiesta già avanzata da anni dalla categoria: “Non chiediamo immunità. Chiediamo giustizia. È fondamentale avviare un percorso di depenalizzazione dell’atto medico. Questo non significa che i medici debbano essere esenti da responsabilità, ma che possano affrontare procedimenti più equi e in tempi ragionevoli, senza il timore costante di dover rispondere penalmente per ogni decisione clinica presa in buona fede”.