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Rioni, cemento e famiglie potenti

Rapporto Dia, dentro i mandamenti mafiosi: Catania tra continuità e adattamento, tra monopoli e alleanze internazionali

sabato 7 Giugno 2025

La Relazione 2024 della Direzione Investigativa Antimafia racconta un volto di Catania che muta nella forma, ma non nella sostanza. Qui la mafia non ha rinunciato al potere: l’ha soltanto ridistribuito, aggiornato, riadattato. Clan storici come i Santapaola-Ercolano e i Mazzei controllano oggi affari, logistica, appalti, connettendosi a reti criminali internazionali, ma conservando consenso nei quartieri. La provincia segue lo stesso modello: penetrazione economica, controllo sociale, legami opachi.

Sesto articolo dell’analisi de ilSicilia.it dedicata alla Relazione della Direzione Investigativa Antimafia, presentata giorni fa dal Ministero dell’Interno alle Camere.

Rapporto Dia criminalità organizzata, il volto delle mafie in Sicilia: non spara ma investe, assume e corrompe

Nel primo articolo abbiamo raccontato la metamorfosi delle cosche siciliane in vere e proprie imprese sotto copertura. Il secondo ha tracciato le rotte internazionali del riciclaggio mafioso. Il terzo ha esplorato il fenomeno delle baby gang e della criminalità giovanile legata ai social. Il quarto ha analizzato i legami tra mafia siciliana e gruppi criminali stranieri.

Il quinto si è concentrato sul sistema mandamentale di Palermo e sulla riorganizzazione silenziosa delle sue famiglie. Con questo sesto approfondimento ci spostiamo adesso sulla provincia di Catania, dove la tradizione mafiosa convive con nuove forme di potere economico, tra appalti, alleanze e consenso sociale. Un territorio etneo che resta strategico per la mappa della criminalità organizzata.

Il potere che abita nei quartieri di Catania

A Catania, la mafia non è un residuo del passato. È una forma presente, mutevole, interconnessa. La Relazione Dia 2024 la descrive con precisione: una criminalità organizzata stabile, operante, articolata in più mandamenti e fortemente connessa alle dinamiche economiche e sociali del territorio. I suoi nomi sono noti da decenni: Santapaola-Ercolano, Mazzei, Cappello-Bonaccorsi, Laudani, Cursoti, Pillera-Di Mauro, Piacenti.

Ma ciò che cambia è il modello: non più piramidale, ma reticolare e opportunistico, orientato all’affare più che alla supremazia. I clan si spartiscono porzioni di città e settori economici, “à la carte”.

C’è chi controlla i cantieri, chi le pompe funebri, chi le piattaforme di logistica e trasporto. Tutto è disciplinato, silenzioso, redditizio. Il consenso si coltiva non solo con la minaccia, ma con la “protezione”, con l’intermediazione familiare, con la vicinanza territoriale.

I quartieri come sistema

La forza dei clan catanesi risiede nella capillarità territoriale. A Librino, San Cristoforo, Nesima, Monte Po, la mafia è parte dell’ecosistema. Non si mostra come potere esterno, ma come referente naturale. Lì dove lo Stato arriva a intermittenza, i clan gestiscono ordine, lavoro nero, aiuto economico.

Il 2024 ha visto almeno 12 interventi mirati della DIA in contesti di edilizia popolare, con controlli su società che operano nei servizi di manutenzione e pulizia. Alcune di queste risultano riconducibili a soggetti contigui ai Mazzei e ai Santapaola. Un potere nascosto dentro la normalità.

La Relazione della Dia segnala come la famiglia Santapaola-Ercolano continui a esercitare egemonia su buona parte del capoluogo e su molteplici gang satelliti. La loro forza non sta più nell’imposizione, ma nella capacità di tessere relazioni, entrare nell’economia, usare lo Stato contro lo Stato.

Gli altri clan, spesso formalmente distinti da Cosa nostra, si muovono in spazi autonomi ma talvolta convergenti, dando luogo a una coesistenza armata che è più patto silenzioso che tregua dichiarata.

 

I Santapaola-Ercolano: egemonia, affari e ridefinizione interna

Il potere della famiglia Santapaola-Ercolano non è in discussione. È articolato, radicato e in continua mutazione. La relazione Dia segnala come il gruppo operi per compartimenti territoriali, con squadre autonome nei quartieri di Stazione, Librino, Picanello, Villaggio Sant’Agata e Nesima. Alcune recenti operazioni, tra cui “Leonidi”, “Leonidi bis” e “Ombra”, hanno documentato l’evoluzione di questo modello: il potere viene esercitato anche da detenuti, attraverso fratelli, referenti ombra, e un sistema di comunicazione codificato e quotidiano.

sequestro messina santapaolaNel luglio 2024, con l’operazione “Ombra”, 25 affiliati sono stati arrestati. L’inchiesta ha evidenziato il riassetto dei vertici dopo l’arresto del reggente, e la designazione di un nuovo coordinatore per l’intero territorio. Contestualmente, la Dia documenta l’attività del gruppo di Cibali e della Stazione come centrali nello spaccio e nel controllo della manovalanza mafiosa.

In parallelo, la proiezione economica della famiglia è cresciuta. L’operazione “Oleandro” ha portato al sequestro di nove attività commerciali, 81 immobili e 12 milioni di euro. Il clan aveva costruito un impero nel settore edile e nella gestione rifiuti, grazie all’intermediazione di imprenditori collusi. Ma è nell’inchiesta “Ultimo brindisi” che emerge la vera modernità del metodo mafioso: frode fiscale da 100 milioni e fatture false attraverso aziende fantoccio con base a Belpasso.

 

I Mazzei: silenziosi, radicati, internazionali

Il gruppo dei Mazzei ha storicamente governato i traffici di stupefacenti sulla costa orientale. La relazione li segnala come coinvolti in un nuovo asse di importazione con gruppi albanesi. L’hub è Catania, i canali toccano la Puglia, la Calabria, Malta.

Il loro core business resta la droga, ma oggi sono anche presenti nei subappalti, nella logistica e nelle forniture.

Nel quartiere di Picanello, il clan ha consolidato un sistema di distribuzione protetto, affidato a reti giovanili che sfuggono al controllo diretto ma si riconoscono nella sigla del potere. Operazioni recenti documentano una catena commerciale con magazzini, rider, pusher, operatori fiscali, in cui tutto scorre come in un sistema logistico legale.

Il clan ha propaggini ad Adrano (Lo Cicero), collegamenti con la ‘ndrangheta, e controllo di varie imprese. L’operazione “Meteora” ne ha colpito il gruppo adranita, documentando un laboratorio clandestino di amnesia gestito con l’aiuto di cittadini olandesi.

 

I Cappello-Bonaccorsi: il crimine come connessione sociale

Clan storico, i Cappello controllano parte di San Cristoforo, con diramazioni in provincia. Sono specializzati in droga e controllo del territorio. Le operazioni “Locu” e “Cemento” del 2024 li hanno colpiti duramente, ma hanno mostrato la loro resilienza: piazze di spaccio collegate, figure cerniera tra gruppi, canali di approvvigionamento condivisi con i Laudani.

Nel caso dell’inchiesta “Terzo capitolo”, sono risultati i principali fornitori di cocaina per il quartiere Librino, anche grazie ai rapporti con gruppi legati ai Santapaola e ai Nizza.

Il gruppo Cappello-Bonaccorsi, spesso in concorrenza con i Santapaola, è descritto come più mobile, più fluido, più adattivo. Agisce in ambienti meno strutturati, ma riesce a intercettare le aree grigie: appalti minori, subforniture, edilizia privata, persino traslochi e vigilanza.

Il suo punto di forza è l’invisibilità: là dove i grandi clan alzano polveroni, i Cappello si muovono nelle intercapedini della legalità, con partite IVA pulite, commercialisti compiacenti, contratti da mille euro.

 

I Laudani: influenza, politica e territori

I Laudani sono potenti e organizzati militarmente. La loro forza è anche politica. L’operazione “Pandora” ha disvelato contatti con politici locali, con un caso emblematico a Tremestieri Etneo. La DIA ha registrato scambi di voti, promesse di appalti, e la designazione del referente mafioso sul territorio.

Sono presenti anche in provincia, con il clan Scalisi ad Adrano (colpito da “Primus”) e Sangani a Randazzo (“Terra bruciata”), fino ai Morabito a Paternò (“Athena”).

 

Altri gruppi attivi

I Cursoti: storicamente divisi in due frange, sono ancora attivi nel narcotraffico, nelle estorsioni e nel gioco d’azzardo.

I Piacenti (Ceusi): attivi a Picanello, legati ai Santapaola, emersi nell’operazione “Albana” su un traffico di droga in Sicilia centrale.

Pillera-Di Mauro (“Puntina”): storicamente assorbiti dai Laudani, colpiti nel 2024 dall’inchiesta “Doppio petto” e “Filo conduttore”, che ne ha documentato l’infiltrazione nel settore degli impianti telefonici.

 

I mandamenti della Provincia: una rete in evoluzione

Mandamenti della provincia di Catania

 

La provincia di Catania è un reticolo. Oltre ai mandamenti interni, la famiglia Santapaola-Ercolano mantiene il controllo su molti comuni: Aci Catena, Aci Sant’Antonio, Acireale, Bronte, Fiumefreddo, Giarre, Palagonia, Santa Venerina, Zafferana Etnea.

Il potere si esercita in modo silenzioso, attraverso famiglie locali fedeli, appalti pilotati, racket “morbido”. A Bronte e Giarre, ad esempio, la Dia ha individuato gruppi di fuoco utilizzati per riscuotere crediti illeciti. A Palagonia, si registrano movimenti su terreni agricoli e aziende zootecniche sospettate di legami diretti con la cosca. La mafia non spara: compra, minaccia, investe.

Nella provincia catanese, tra l’Etna e i fianchi della valle del Simeto, la mafia non è un ricordo: è una presenza costante. In territori come Adrano, Paternò, Biancavilla, Randazzo, Belpasso, il potere criminale si è adattato alle specificità locali, restando profondamente radicato.

A Adrano, il clan Scalisi, legato ai Laudani, mantiene una solida presenza. Nonostante operazioni come “Primus” abbiano colpito duramente la struttura, con 20 arresti nel dicembre 2024, la capacità del gruppo di rigenerarsi rimane intatta. La DIA ha documentato un sistema estorsivo efficiente e una fitta rete di spaccio. Le armi non mancano: pistole e fucili sono stati sequestrati insieme a quantità ingenti di droga. Il clan gestisce il territorio con una logica territoriale: controllo, consenso, silenzio.

A Paternò, l’inchiesta “Athena” ha alzato il velo su una relazione organica tra mafia e politica. Il sindaco Antonino Naso è stato arrestato con l’accusa di voto di scambio. In cambio del sostegno dei clan, prometteva assunzioni e appalti. Il gruppo dei Morabito-Rapisarda controlla il territorio attraverso uomini di fiducia inseriti nella macchina amministrativa e nelle imprese locali.

A Biancavilla, il clan Toscano-Mazzaglia, da sempre vicino ai Santapaola, è indicato nella relazione DIA come protagonista di faide interne e fibrillazioni armate. Omicidi, agguati, intimidazioni: la mappa criminale è segnata dalla lotta per il comando. Ma accanto alla violenza, resiste la gestione del traffico di stupefacenti e il controllo di porzioni importanti della filiera agricola.

Nel versante sud della provincia, il gruppo La Rocca domina zone come Palagonia, Ramacca, Scordia. Il controllo si esercita sulle filiere agricole, sulle cave, sul trasporto merci. Si tratta di un modello più tradizionale ma efficace, basato sul controllo del territorio e sulle relazioni familiari.

A nord, nel cuore verde del Parco dell’Etna, Randazzo non è solo una meta turistica: è anche teatro di controllo mafioso. Il clan Sangani, imparentato con i Laudani, è tornato a farsi sentire. L’operazione “Terra Bruciata” ha documentato pressioni esercitate su candidati e funzionari durante le amministrative del 2018. La mafia qui è politica. Non ha bisogno di gestire piazze di spaccio: preferisce sedersi nei consigli comunali, manovrare da dietro le quinte.

 

Una rete criminale in evoluzione

Ciò che emerge è una struttura mafiosa che ha imparato a convivere con il tempo. I clan della provincia non vivono di rendita. Si aggiornano, si relazionano, apprendono linguaggi nuovi: quello della burocrazia, della finanza, delle norme europee. Ma il fine è sempre lo stesso: il potere.

mafiaLa Dia lo scrive con chiarezza: “nell’area etnea, la presenza mafiosa è pervasiva, diffusa e integrata nel tessuto sociale”. Non c’è una linea di demarcazione netta tra legalità e illegalità. C’è un continuum, in cui ogni relazione può diventare opportunità criminale.

Il prossimo fronte? I fondi Pnrr. Già oggi, inchieste come “Oleandro” e “Ultimo brindisi” indicano la capacità dei clan di infiltrarsi nei circuiti pubblici. Se la provincia non alza le difese, la criminalità organizzata troverà nuove strade. Sempre più legali, sempre più invisibili. La Dia riporta nel 2024 l’emersione di una società agricola utilizzata come veicolo di riciclaggio con fondi europei per la transizione ecologica. Il dato non è marginale: dimostra che anche la provincia ha imparato a intercettare i flussi pubblici, non più solo le estorsioni.

Il territorio etneo è uno dei più complessi dell’intera Sicilia. I clan si osservano, si contendono il territorio, ma sanno anche cooperare. Il controllo non è più il racket di strada. È la concessione edilizia, il subappalto, la piazza di spaccio che non si chiude mai, la politica che obbedisce, l’imprenditore che tace.

Il potere mafioso è oggi compatibile con l’apparenza di legalità. E questo lo rende più pericoloso. La mafia a Catania non si vede. Ma c’è. E agisce ogni giorno. In silenzio. Con profitto, consenso e metodo.

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