C’è un livello della sanità siciliana di cui si parla poco, eppure decisivo per la vita quotidiana delle persone più fragili, quello dei distretti socio-sanitari. Strutture pensate per garantire l’integrazione tra servizi sociali e sanitari nei territori. Un’infrastruttura di prossimità che, sulla carta, è pensata per portare l’assistenza più vicina ai cittadini, che ella pratica, però, funziona poco e male.
In una regione dove povertà, disabilità, marginalità ed emergenze sociali crescono in maniera strutturale, l’inerzia che da anni paralizza questi distretti rischia di trasformarsi in un fallimento istituzionale. Eppure, una soluzione legislativa è già stata messa sul tavolo da mesi, senza che il governo regionale abbia mostrato il minimo interesse ad affrontarla.
Una riforma ignorata
Nel frattempo, l’assessorato regionale alla Famiglia ha diramato una direttiva allarmante secondo cui i fondi per i servizi sociali potrebbero rimanere bloccati, a causa dell’incapacità dei distretti di programmare e spendere. Un’accusa che scarica sui territori responsabilità che, almeno in parte, risiedono nelle scelte del governo regionale. È proprio la dipendenza strutturale dai Comuni capofila, molti dei quali in dissesto finanziario o privi di bilanci approvati, a impedire l’impiego tempestivo delle risorse. I distretti non possono agire in autonomia e non hanno una propria capacità di spesa non potendo né usare direttamente i fondi né potendo prendere decisioni in modo indipendente.
Cosa prevede il disegno di legge
Il disegno di legge in questione, però, propone di superare questo blocco dotando i distretti di personalità giuridica di diritto pubblico, garantendo loro autonomia gestionale e contabile, trasferendo direttamente le risorse statali e regionali senza passare per i Comuni. Si stabilisce inoltre che ogni distretto costituisca un Ufficio di Piano, struttura tecnico-amministrativa autonoma e competente, che diventi il cuore operativo della pianificazione territoriale delle politiche sociali. Il progetto di riforma individua anche gli organi di governo dei distretti, definendo il ruolo del Comitato dei Sindaci e prevedendo la creazione della Rete territoriale per l’inclusione e la protezione sociale, che includa il terzo settore, le organizzazioni sindacali e altri soggetti pubblici. Un modello già previsto da normative nazionali, che in Sicilia rimane sulla carta.
La mancata approvazione di questo Ddl sta producendo conseguenze molto concrete, quali fondi bloccati, servizi interrotti e una macchina istituzionale che non riesce a reagire alle emergenze. E mentre i nodi strutturali vengono ignorati, il dibattito politico si riduce spesso a una retorica dello scaricabarile. Si accusano i distretti, si accusano i Comuni, ma si evita di intervenire sulle vere cause di questa paralisi. Il rischio non è solo quello di perdere risorse, ma quello, ben più grave, di alimentare la sfiducia nelle istituzioni.
Una svolta necessaria
L’approvazione del disegno di legge rappresenterebbe un passaggio fondamentale per affrontare in modo strutturale le inefficienze del sistema dei distretti socio-sanitari. Dotare queste strutture di una propria autonomia gestionale e finanziaria significa consentire loro di operare con maggiore tempestività, stabilità e capacità programmatoria, superando la dipendenza da Comuni spesso in crisi amministrativa. Con la riforma, i distretti potrebbero finalmente disporre di strumenti adeguati per rispondere ai bisogni del territorio, con personale stabile, risorse utilizzabili direttamente e un coordinamento operativo più efficiente.
La creazione di una Rete territoriale che coinvolga anche il terzo settore e gli attori sociali del territorio, prevista dalla riforma, permetterebbe inoltre di rafforzare il dialogo tra istituzioni e comunità locali, rendendo gli interventi più rispondenti ai reali bisogni della popolazione. Il testo è sul tavolo dell’Ars. Le condizioni normative ci sono. Le risorse anche. Quello che manca, ancora una volta, è la volontà politica di rompere questo immobilismo.