Se l’attenzione pubblica tende a focalizzarsi sulla distruzione del paesaggio e sul pericolo immediato per persone e beni, meno visibile ma altrettanto rilevante è l’impatto sanitario prodotto dagli incendi, in particolare attraverso l’inquinamento atmosferico.
Emissioni e polveri: i numeri di un rischio silenzioso
Secondo i dati raccolti da Ambiente Non Solo, piattaforma indipendente di divulgazione ambientale, nel 2024 gli incendi in Italia hanno generato oltre 8.000 tonnellate di PM2.5, il particolato fine più pericoloso per la salute umana. Poiché, secondo il Rapporto ISPRA sugli incendi boschivi 2024, circa il 25% della superficie andata a fuoco nel Paese è localizzata in Sicilia, si può ragionevolmente stimare che oltre 2.000 tonnellate di PM2.5 siano state immesse nell’atmosfera dell’Isola nel corso di questa stagione. (Si tratta di una stima proporzionale, non di una misurazione diretta. Il calcolo si basa sull’assunto che la densità e il tipo di vegetazione bruciata in Sicilia siano comparabili alla media nazionale).
Il particolato fine (PM2.5) è composto da micro-particelle con diametro inferiore a 2,5 micrometri, capaci di superare le barriere del sistema respiratorio, penetrare negli alveoli polmonari e raggiungere il circolo sanguigno. Oltre al PM2.5, gli incendi rilasciano anche PM10, ossidi di azoto (NOx), ozono troposferico, monossido di carbonio (CO) e composti organici volatili (VOC), tra cui sostanze cancerogene come il benzene e gli IPA (idrocarburi policiclici aromatici). Questo “cocktail tossico” può permanere nell’aria per ore o giorni, a seconda delle condizioni meteo, aggravando le patologie respiratorie, cardiovascolari e oncologiche, soprattutto nei soggetti vulnerabili.
“Gli incendi che continuano a colpire la Sicilia, dai roghi boschivi a quelli nei pressi di discariche o aree industriali, stanno diventando un grave problema non solo ambientale ma anche sanitario. Il fumo sprigionato da questi eventi contiene particelle fini e sostanze tossiche che penetrano profondamente nei polmoni, con effetti acuti e cronici sull’apparato respiratorio. Le persone più a rischio sono i pazienti con malattie croniche, come asma e BPCO, e gli anziani, che spesso già vivono condizioni di fragilità respiratoria, ma i rischi sono alti anche nei bambini”. Queste le parole di Giuseppe Failla, Responsabile per la Sicilia dell’Associazione Italiana Pneumologi Ospedalieri (AIPO) e Direttore della Pneumologia dell’Arnas Civico di Palermo.
“Quando parliamo di incendi in fabbriche o impianti di trattamento rifiuti – prosegue Failla – ci troviamo davanti a un’esposizione ancora più complessa: le componenti bruciate possono includere plastiche, materiali chimici e metalli pesanti, che generano fumi altamente nocivi. L’aria diventa irrespirabile, e chi ha patologie pregresse rischia peggioramenti improvvisi, riacutizzazioni e, nei casi più gravi, accessi in pronto soccorso o ricoveri.”
“Ai pazienti cronici, in particolare chi soffre di patologie respiratorie, consigliamo di restare in casa con le finestre chiuse nelle giornate in cui l’aria è visibilmente satura di fumo. È importante utilizzare eventuali purificatori domestici se disponibili, continuare con le terapie prescritte senza interruzioni e tenere a portata di mano i farmaci per eventuali crisi respiratorie. In caso di sintomi come tosse persistente, difficoltà respiratoria o senso di oppressione al petto, è fondamentale rivolgersi tempestivamente al proprio medico o al pronto soccorso.”
Un sistema di monitoraggio ancora parziale
In assenza di questo tipo di sorveglianza, purtroppo, le autorità sanitarie non dispongono di uno strumento operativo per valutare l’esposizione effettiva della popolazione né per predisporre piani di allerta o protezione, come avviene invece in altri contesti europei. Non mancano infatti, in Europa, esempi di sistemi capaci di correlare eventi ambientali e salute pubblica. In Portogallo, ad esempio, uno studio pubblicato su “Environmental Research” ha stimato, tra il 2015 e il 2018, tra 32 e 189 decessi all’anno attribuibili all’esposizione al PM2.5 generato dagli incendi boschivi, con costi sanitari e sociali che possono raggiungere i 360 milioni di euro annui. Nel Regno Unito, il progetto FireUp unisce sensori a terra, satelliti e modelli previsionali per monitorare in tempo reale l’impatto degli incendi sulle polveri sottili.
L’impatto sulla salute
Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, l’esposizione al PM2.5 è responsabile dell’aggravamento di patologie respiratorie come asma e bronchite cronica, ma anche di aumento della mortalità per infarto, ictus, tumori polmonari e complicanze cardiovascolari.
In Sicilia, tuttavia come abbiamo già detto, non esistono ancora protocolli di raccolta dati che mettano in relazione l’esposizione ambientale con i ricoveri o gli accessi ai pronto soccorso per cause respiratorie o cardiache. Si tratta di un vuoto che limita la comprensione reale del danno sanitario prodotto dai roghi e, soprattutto, impedisce la prevenzione.
Anche nei periodi in cui i roghi sono più intensi – ad esempio durante le giornate di allerta rossa per rischio incendi, dichiarata da Protezione Civile Sicilia – non viene diffusa alcuna informazione sanitaria specifica alla popolazione, se non generiche raccomandazioni. Né risultano attive misure di protezione per le categorie più fragili (anziani, bambini, persone con malattie croniche respiratorie). Per migliorare la tutela della salute pubblica, sarebbe indispensabile attivare sistemi di allerta sanitaria tempestivi rivolti alla popolazione, con messaggi chiari e puntuali sulle precauzioni da adottare. In particolare, occorrerebbe fornire indicazioni specifiche alle categorie più vulnerabili, come anziani, bambini e persone con patologie respiratorie o cardiovascolari, invitandole a limitare l’esposizione al fumo, usare mascherine FFP2 all’aperto e restare in ambienti chiusi con aria filtrata quando possibile. Inoltre, sarebbe fondamentale implementare protocolli di sorveglianza integrata tra dati ambientali e sanitari, per intervenire prontamente e valutare l’impatto reale degli incendi sulla salute.
Una risposta istituzionale ancora frammentaria
Nel 2025 la Regione Siciliana ha investito nel potenziamento della SOUR (Sala Operativa Unificata Regionale), introducendo nuove tecnologie di sorveglianza satellitare e droni per la prevenzione e gestione degli incendi. Tuttavia, l’integrazione tra protezione civile, sanità pubblica e ambiente rimane debole. Non esiste un piano regionale sanitario specifico legato alle ondate di fumo da incendi.
L’assenza di una visione integrata non è solo un problema gestionale, ma anche economico. I costi sanitari indiretti degli incendi come l’aumento dei ricoveri, spese farmaceutiche, giorni di malattia, impatto sulle patologie croniche, non sono tracciati né quantificati. Ma è evidente che si tratta di un prezzo che ricade sui cittadini e sul servizio sanitario regionale.
Gli incendi in Sicilia possono rappresentare una crisi sanitaria strutturale ancora scarsamente affrontata. Il fumo invisibile e le sostanze tossiche che si sprigionano durante i roghi estivi costituiscono un rischio sottovalutato, privo di risposte pubbliche sistemiche. Servono strumenti di monitoraggio più capillari, protocolli ospedalieri dedicati, strategie di prevenzione e comunicazione rivolte alla popolazione.