Di seguito riportiamo la pubblicazione della lettera del dottore Luigi Galvano indirizzata al ministero della Salute, guidato da Orazio Schillaci.
“Egregio Ministro,
In questi giorni in cui le notizie sull’intossicazione da botulino si sono rincorse, desidero condividere le mie spontanee riflessioni.
I due connazionali deceduti, erano entrambi in buona salute, si sarebbero potuti salvare? Entrambi si erano rivolti al pronto soccorso, ed in particolare, Luigi Di Sarno ad una struttura privata, morendo durante il viaggio di rientro in Campania, precisamente mentre si trovava a Lagonegro (PZ). Proprio per questo, ahimè, anche i medici di quella struttura purtroppo risultano ora indagati.
Mi chiedo quindi, se sia davvero possibile che una casa di cura privata gestisca un pronto soccorso. Una struttura di questo tipo, per sua natura, infatti, si occupa, in genere, di ricoveri in elezione che seguono una logica diametralmente opposta a quella richiesta nelle aree di emergenze, che comporta un modello “whatever it takes” – fare tutto ciò che è necessario
In questo contesto, l’espressione può essere letta come un approccio politico-gestionale in cui:
- l’obiettivo prioritario → garantire la piena funzionalità dell’area di emergenza
- il criterio guida → “costi quel che costi”, ovvero senza vincolare le decisioni alle sole disponibilità finanziare correnti
Le implicazioni pratiche possono includere:
- dotazione completa di personale (anche se comporta sforamenti di budget ↦ straordinari, assunzioni in deroga, etc.)
- copertura di turni notturni/festivi senza riduzioni
- acquisizione di apparecchiature e dispositivi anche fuori dalle gare standard
- aumento dei posti letto di osservazione breve
- potenziamento dei protocolli diagnostici rapidi
In altre parole: trattare l’area di emergenza come una funzione essenziale non comprimibile, che richiede un livello minimo garantito di risorse anche a costo di scelte straordinarie sul piano economico.
Costi elevatissimi e margini quasi sempre negativi determinati dal fatto che molti accessi non producono alcun ricovero, o brevi ricoveri frequentemente poco remunerativi; all’infruttuoso compenso del mantenimento di personale e diagnostica H24!
In sintesi, il pronto soccorso rappresenta il crogiuolo dell’assistenza sanitaria pubblica. Il punto più alto di solidarietà nazionale.
Tranne che in quelle strutture, tipicamente ospedaliere, che ricevono altri tipi e volumi di sostegni pubblici, i pronto soccorso privati rischiano quindi di trasformarsi in semplici porte di ingresso funzionali a intercettare i casi più redditizi, senza poter garantire la completezza e la sicurezza che un servizio di emergenza-urgenza richiede in linea con i profili di responsabilità medica.
Questo, a mio avviso, è il segno di come il sistema si stia sgretolando. I pronto soccorso, anche pubblici, non sono più presidiati da specialisti in medicina d’urgenza, con le scuole di specializzazione in emergenza-urgenza che restano vuote.
Perché un giovane dovrebbe scegliere di fare il medico d’urgenza con lo stesso contratto di un collega che lavora in un reparto a più basso, e talvolta anche nullo, impatto assistenziale?
Dovrebbe piuttosto essere l’opposto; chi lavora in urgenza dovrebbe avere stipendi adeguati al rischio, allo stress lavoro correlabile, anche per incentivare una categoria che difficilmente potrebbe trovare spazio nella libera professione, neppure intramuraria. Non è infatti difficile afferrare la differenza rispetto ad altre Specializzazioni. Oggi lo stipendio di ingresso è di circa 2500 € al mese, arrivando a 3500 € solo dopo dieci anni, comprendendo in genere almeno sei notti e due festivi al mese. Cui prodest Sig. Ministro?
Questi episodi non sono che epifenomeni di un problema più profondo, che va affrontato e corretto subito. Non basta dire “turni a 1000 euro”. Anche con il nuovo provvedimento governativo – che non prevede più l’intermediazione delle cooperative, ma contratti singoli dei medici con l’ASL, ancora possibili – resta infatti il nodo di fondo; se si chiede a un candidato destinato a lavorare in pronto soccorso quale sia la sua esperienza, la risposta può essere anche e solamente, quella di avere avuto solo esperienze sporadiche in urgenza, oppure di possedere una formazione specialistica in un ambito del tutto diverso, come addirittura l’Igiene e la medicina preventiva. Non dovrebbe essere così! Perché è evidente che non tutti gli specialisti hanno lo stesso background clinico né la stessa capacità di inserirsi efficacemente in un pronto soccorso, garantendo un servizio realmente sicuro e appropriato.
Con questo stato di cose possiamo affermare che oggi la salute pubblica è a rischio. In più oggi la specializzazione in medicina d’urgenza è equipollente con la medicina interna quindi assistiamo ad una migrazione di medici dalle aree di emergenza ai reparti di medicina interna, e non viceversa, pratica non criticabile stante che dopo un quarto di secolo di lavoro in area di emergenza è naturale, legittimo ed opportuno che il collega vada ad operare in un ambito più “tranquillo” e possa occuparsi di quei pazienti che lui avviava al ricovero, e possa vedere l’altra faccia della medaglia ovverosia la stabilizzazione del paziente e la sua dimissione mettendo a disposizione la sua enorme esperienza.
Nelle grandi aree di emergenza questo problema si riesce talvolta a tamponare, assegnando ai colleghi meno esperti compiti marginali, ma questo non è un modello sostenibile.
Credo che da questo episodio – pur occasionale – in cui due persone sono state mandate a casa e poi sono morte, con conseguente indagine sui colleghi, per me senza alcuna colpa per le condizioni precarie in cui operano, dobbiamo ripartire.
Serve esercitare una pressione forte, perché non si può andare avanti così.
Quello che non comprendo è perché non si adottano contratti realmente differenziati, calibrati sulla difficoltà e sulla scarsa attrattività delle specializzazioni in urgenza.
Comunque qui in questo ambito in attesa di una riforma sostanziale del lavoro medico con i relativi contratti si possa immediatamente valorizzare il contratto della medicina di urgenza con l’elevazione della remunerazione delle notti e dei festivi e super festivi portando la remunerazione complessiva almeno a 5000 € netti al mese che resta pur sempre il 30 % in meno della media europea e magari la smettiamo di pagare 1000 € a notte a dei colleghi non esperti.
Sig. Ministro, un suo Decreto urgente prima che i colleghi siano chiamati a scegliere la scuola di specializzazione (20 Settembre) potrebbe indurre molti di loro a scegliere medicina d’urgenza; non è la soppressione del numero chiuso che risolverà i problemi della Sanità del Paese: assisteremo ad una nuova pletora medica e dati gli stipendi dell’Italia i medici, conseguita la laurea, emigreranno verso l’estero dove sottoscriveranno contratti di formazione lavoro che li remunereranno tre volte in più della borsa di specializzazione italiana e nessuno tornerà in Italia come già avvenuto dal 2010 al 2022, periodo che ha visto circa 20.000 esodi.
Sig. Ministro sarebbe un atto che la consacrerebbe nella storia della Sanità italiana, come fu per un altro siciliano eccellente, il Ministro Sirchia che riuscì ad abolire il fumo dai locali pubblici cosa non semplice, dove altri avevano fallito contro lo strapotere delle multi nazionali del tabacco”.