I dati elaborati dall’Ufficio studi della CGIA sul 2023 dipingono un quadro netto e, per molti versi, preoccupante dell’Italia, mostrando un Paese diviso in due, con un profondo divario economico e fiscale tra Nord e Sud.
L’analisi rivela come la ricchezza e, di conseguenza, il peso del prelievo fiscale si concentrino in maniera preponderante nelle aree settentrionali, con Milano in testa a tutte le classifiche, mentre le regioni del Mezzogiorno, e in particolare la Sicilia, si trovano in una condizione di svantaggio strutturale.

Questo divario non è solo una questione di numeri, ma riflette differenze sostanziali nel tessuto economico, nel lavoro e nella qualità dei servizi offerti ai cittadini.
L’analisi dei dati fiscali sulla Sicilia
La Sicilia emerge da questa analisi come un caso emblematico delle difficoltà economiche del Sud Italia. Con un reddito complessivo medio di 19.700 euro, la regione si posiziona molto al di sotto della media nazionale, fissata a 24.830 euro. Un dato ancora più allarmante è che ben il 75,1% dei contribuenti siciliani dichiara un reddito inferiore alla media italiana, un dato che sottolinea l’ampiezza e la profondità della povertà relativa diffusa nell’isola.
Questo dato colloca la Sicilia tra le regioni con la più alta percentuale di contribuenti al di sotto della media, evidenziando una concentrazione di redditi bassi che incide pesantemente sulla qualità della vita e sulla capacità di sviluppo.
Le differenze all’interno della stessa regione sono altrettanto significative, con un’ampia variabilità tra le province che riflette le diverse vocazioni economiche e i livelli di sviluppo locali.

Palermo, la provincia con il reddito complessivo medio più alto dell’isola, si attesta a 21.111 euro, con un’imposta media IRPEF di 4.885 euro. Nonostante questo primato regionale, Palermo si colloca solo al 63° posto nella classifica nazionale per imposta media versata, un dato che, pur essendo il migliore della Sicilia, evidenzia la distanza dalle province più ricche del Nord. La sua posizione di capoluogo e centro politico e amministrativo le conferisce un vantaggio relativo rispetto al resto dell’isola, ma la sua situazione rimane lontana dal benessere economico delle città del Nord e del Centro.
A seguire, troviamo la provincia di Catania, con un reddito complessivo medio di 20.325 euro e un’imposta media IRPEF di 4.582 euro. La città etnea, pur essendo un importante polo industriale e commerciale, si posiziona al 74° posto a livello nazionale per prelievo fiscale, confermando come anche le aree più dinamiche della Sicilia fatichino a raggiungere i livelli di ricchezza del resto del Paese.
La provincia di Messina presenta un reddito complessivo medio di 20.205 euro e un’imposta media IRPEF di 4.470 euro. Il suo 78° posto nella classifica nazionale riflette un’economia che, pur beneficiando della sua posizione strategica sullo Stretto, non riesce a generare la stessa ricchezza delle province limitrofe di Palermo e Catania.
A Siracusa, il reddito complessivo medio è di 19.915 euro, con un’imposta media IRPEF di 4.440 euro. La provincia si posiziona 81ª in Italia, un dato che evidenzia le difficoltà del territorio, nonostante la sua importanza turistica e industriale.
Scendendo ancora nella classifica, troviamo le province di Caltanissetta e Trapani. Caltanissetta, con un reddito complessivo medio di 18.477 euro e un’imposta media IRPEF di 4.174 euro, si posiziona al 91° posto. Trapani, con 18.631 euro di reddito medio e 4.119 euro di IRPEF media, si attesta al 93° posto. Entrambe le province, a vocazione prevalentemente agricola e turistica, si trovano nella parte bassa della classifica, a testimonianza di una struttura economica meno remunerativa.
Ancora più in basso, troviamo Enna e Ragusa. Enna ha un reddito complessivo medio di 18.027 euro e un’imposta media IRPEF di 3.923 euro, che le valgono il 98° posto. Ragusa, con 17.625 euro di reddito medio e 3.655 euro di IRPEF media, è al 106° posto. Entrambe queste province si collocano tra le meno ricche d’Italia, con un prelievo fiscale nettamente inferiore alla media nazionale.

Infine, la provincia di Agrigento chiude il quadro con un reddito complessivo medio di 17.540 euro e un’imposta media IRPEF di 3.844 euro, posizionandosi al 100° posto in Italia. Questo dato, il più basso di tutte le province siciliane per reddito, riflette le profonde difficoltà economiche e strutturali che caratterizzano questa parte dell’isola.
La situazione della Sicilia, quindi, è caratterizzata da una debolezza strutturale generalizzata, che si riflette sia nel reddito medio pro capite che nell’entità del prelievo fiscale. Sebbene ci siano delle differenze tra le province, il dato complessivo è chiaro: l’isola si trova in una posizione di netto svantaggio rispetto al resto del Paese, con la maggior parte della popolazione che fatica a raggiungere i livelli di reddito medi nazionali.
Il quadro nazionale: il divario tra Nord e Sud
La fotografia scattata dall’Ufficio studi della CGIA non si limita alla Sicilia, ma offre un’analisi del divario che attraversa l’intera penisola. Il quadro nazionale mostra una concentrazione di ricchezza e potere fiscale nel Nord, con una graduale diminuzione man mano che ci si sposta verso il Centro e, in modo più accentuato, verso il Sud.
A livello nazionale, il reddito complessivo medio è di 24.830 euro e l’imposta media IRPEF è di 5.663 euro. Questi dati, tuttavia, nascondono profonde disuguaglianze. Basti pensare che le regioni del Sud e delle Isole mostrano dati preoccupanti, con una percentuale di contribuenti con reddito inferiore alla media nazionale superiore al 70%. La Calabria, per esempio, presenta la situazione più critica con il 77,7% dei contribuenti al di sotto della media.
Il prelievo fiscale più elevato a livello territoriale ha interessato i contribuenti della Città Metropolitana di Milano, con un’imposta media di 8.846 euro, quasi il doppio della media nazionale. Questa cifra riflette un reddito complessivo medio di 33.604 euro, che rende Milano la provincia più ricca d’Italia. Il forte legame tra reddito elevato e alta tassazione dimostra la progressività del nostro sistema fiscale, dove chi guadagna di più contribuisce in misura maggiore.
I DATI DEL REPORT
A seguire, nella classifica delle province più tassate, troviamo Roma con 7.383 euro di IRPEF media, Monza e Brianza con 6.908 euro, e Bolzano con 6.863 euro. Queste province, così come quelle di Bologna, Lecco e Parma, che si posizionano tra le più ricche del Paese, mostrano come la concentrazione di ricchezza si rifletta inevitabilmente sulla pressione fiscale.
All’estremo opposto, i meno tartassati d’Italia sono stati i contribuenti della provincia del Sud Sardegna, che hanno pagato solo 3.619 euro di IRPEF media. Questo dato, sebbene possa sembrare un vantaggio, è in realtà un riflesso di un reddito complessivo medio molto basso, che si attesta a 18.538 euro, posizionando la provincia tra le ultime in Italia sia per reddito che per tassazione.
Il profondo divario tra Nord e Sud, evidente sia nei livelli di reddito che nel peso fiscale, rappresenta una delle principali problematiche per il Paese. Mentre le province del Nord continuano a generare ricchezza e a sostenere un’alta pressione fiscale che, in linea teorica, finanzia servizi di migliore qualità, le regioni del Mezzogiorno rimangono intrappolate in un ciclo di redditi bassi e, di conseguenza, minore prelievo fiscale.
Questa situazione non solo evidenzia le disuguaglianze economiche, ma solleva anche interrogativi sulla capacità del sistema di redistribuire in maniera efficace la ricchezza a livello nazionale. La fotografia del 2023, dunque, mostra un’Italia con due velocità, dove la geografia economica continua a definire le opportunità e il benessere dei suoi cittadini.
L’analisi è stata condotta dall’Ufficio studi della CGIA di Mestre che ha elaborato i dati provenienti direttamente dal Ministero dell’Economia e delle Finanze.
I dati presi in esame si riferiscono all’anno d’imposta 2023. L’Irpef dichiarata dai contribuenti italiani, pari a 190 miliardi di euro, è stata calcolata al netto delle detrazioni e degli oneri deducibili. Le detrazioni considerate includono quelle per familiari a carico, da lavoro e per varie spese come quelle mediche, farmaceutiche e universitarie.
Il rapporto precisa inoltre che il dato relativo ai lavoratori autonomi (pari a 1,6 milioni di contribuenti) non tiene conto delle partite IVA che hanno aderito al regime fiscale dei minimi, poiché tali contribuenti non versano l’Irpef.